Sorpresa. Gli elettori hanno scelto, e ancora una volta hanno stravolto i rapporti di forza in campo fino a due mesi fa: l’ultimo voto reale (le europee) e tutti i sondaggi prevoto dell’estate, ci raccontavano uno scenario dove non c’era partita. I tre partiti del centrodestra in queste stime viaggiavano (con pesi specifici diversi e fluttuazioni interne) intorno al 48%, delineando in quella coalizione un dominatore assoluto nella sfida. I primi exit poll, gli ultimi sondaggi – e i primi voti scrutinati – ci raccontano invece un risultato opposto. Nelle grandi città vince ovunque il centrosinistra e – questo è il dato più sorprendente – vince spesso al primo turno (Napoli e Milano). Ma vince, addirittura, in tutte le sue molteplici configurazioni: sia con l’asse Giallorosso classico (Napoli), sia con la coalizione più “vasta” (Bologna) mai schierata in campo, sia dove il centrosinistra non è alleato con il M5s (Roma e Milano).
Prima osservazione: dove non c’è il partito di Giuseppe Conte in coalizione, il centrosinistra classico avrà comunque bisogno dei suoi voti per il secondo turno. Seconda informazione importante: questo dato è circoscritto alle metropoli (manca la grande provincia italiana) e – terzo elemento decisivo – la percentuale di votanti è stata più bassa, e proporzionalmente più bassa nelle periferie. Infine un dato decisivo: la coalizione di centrosinistra sarà avvantaggiata al ballottaggio, sopratutto dove come a Roma partiva divisa (nella capitale addirittura in tre) perché al secondo turno ha la possibilità di aggregare nuovi consensi, perché gli avversari (da Milano a Roma) hanno già fatto il pieno dei loro consensi.
Tuttavia, fatte queste premesse, il dato c’è, ed è innegabile: la coalizione Salvini-Meloni-Berlusconi, partita favorita ha perso ovunque. E il primo tema è questo: la classe dirigente che ha messo in campo (a partire dai ruoli apicali dei candidati, ma non solo) è più debole. Dietro questa constatazione elementare, però, c’è un altro tema, meno evidente. Anche se non esiste una prova scientifica, molti segnali dicono che il grande rapporto tra la destra e il suo elettorato si è rotto sulla pandemia, sul Covid, sul green pass. È un tema che riguarda sopratutto la Lega, con le sue pubbliche divisioni e i dissensi dei governatori sulla linea Salvini. Ma è un problema che attraversa tutta la coalizione, perché in Forza Italia stride il dissenso (e questo fa perdere possibili voti) mentre in Fratelli d’Italia, che pure prosegue la sua crescita, la sofferenza di un’ala legalitaria è emersa ai candidati.
Dunque il voto ha avuto una doppia valenza: sul piano locale certifica un peso specifico di cui abbiamo detto, sul piano nazionale rende plastica la fotografia di un malessere a cui si è aggiunto molto di più: gli strappi, molto visibili tra Salvini e la Meloni, il fattore “fuoco amico” che ha colpito (in modo speculare e selettivo) sia Bernardo che Michetti. A Roma con i centristi che fanno voto disgiunto contro l’uomo della Meloni. A Milano, con l’ala destra che resta tiepidissima. Ma certo hanno pesato anche le tante gaffes. La pistola di Bernardo (con la tragicomica precisazione che l’arma non veniva indossata nei reparti con i bambini), le fughe dai duelli di Michetti, il riciclo messaggio audio del candidato milanese (con il ricatto: o pagate o lunedì sospendo la campagna) e anche le memorabile digressioni dello speaker di Radio Radio, che ha fatto della sua compagnia amministrativa una sorta di kolossal di cartapesta tutto infarcito di grotteschi pena agli imperi e agli acquedotti romani (“Meravigliosi!”), citazioni di Romolo Augustolo, e silenzi sul recovery plan. Contano molto le competenze e le coalizioni di partenza.
Infine una notazione su Calenda e sulla Raggi. Il promo ottiene un ottimo risultato a Roma, e scippa la leadership del centro al desaparecido Matteo Renzi (quasi ovunque il suo simbolo non era sulle schede, e i suoi uomini erano solo nelle liste comuni con altri) . Ma l’ex ministro non sfonda da solo, e non riesce ad accadere al ballottaggio: adesso dovrà scegliere se entrare nella “coazione vasta” che gli propone Letta, o provare a fare la terza forza. Infine un piccolo dato politico: si votava per la Camera in due elezioni suppletive e – soprattutto a Siena, dove aveva vinto la destra – Enrico Letta ha ottenuto un ottimo risultato senza il simbolo del Pd (per indicare l’apertura a una nuova coalizione).
Giochi fatti per le elezioni nazionali dunque? Per nulla. In primo luogo perché alle politiche lo scenario è diverso: si vota a turno unico, e con il Rosatellum il peso specifico di una coalizione unita nei collegi è più forte di una coalizione disunita (o che si presenta a macchia di leopardo). E poi perché le leadership sovraniste, per quanto nel caso di Salvini abbiano bisogno di un tagliando, restano per ora le più salde. Hanno ancora una grande riserva di consenso in quella profonda provincia che in questo voto appare sottostimata. Il precedente del 1993 dovrebbe essere di ammaestramento: vinsero nella città i sindaci del centrosinistra (con in testa Antonio Bassolino e Francesco Rutelli) ma le politiche del 1994 le vinse la prima colazione di centrodestra della storia, guidata da Silvio Berlusconi. Ecco perché la partita è lunga, il centrosinistra giallorosso ha segnato un punto importante, ma il novantesimo minuti arriverà solo con il prossimo voto delle politiche.