Nord contro sud, città contro provincia. Questa è in breve la mappa dell’Italia che ci arriva dalle elezioni italiane del 4 marzo 2018, con il Movimento Cinque Stelle che trionfa in tutto il meridione e nelle Marche e il centrodestra, trainato dalla Lega, che vince in tutto il nord espugnando peraltro l’Emilia-Romagna, regione in cui il centrosinistra era sempre stato primo.
Il PD, che tocca il minimo storico (prendendo meno del PDS nel 1996), crolla in tutta Italia ma mantiene un consenso alto esclusivamente nelle città, ottenendo seggi nelle aree centrali di Roma, Milano e Torino. Le regioni rosse si dimostrano essere non più così rosse, con Marche e Umbria in cui non vengono ottenuti seggi uninominali, e in Toscana ed Emilia-Romagna nel “Ridotto Appenninico” tra la Toscana settentrionale, Bologna e la Romagna.
Il fatto che crollino feudi come quelli rossi e ne nascano di nuovi (si pensi al Movimento Cinque Stelle che supera il 60 per cento in molte aree dell’hinterland napoletano) ci dimostra una cosa: l’elettorato, con il passare del tempo è sempre più volatile.
In una società sempre più veloce sotto molti aspetti, si è veloci anche a cambiare idea su chi votare e si è ben lontani dalla prima repubblica in cui spesso e volentieri il figlio dell’elettore democristiano votava DC e quello comunista votava PCI: il risultato è che ogni singolo voto diventa contenibile e per qualsiasi partito è veramente possibile vincere le elezioni se retto da un programma e una campagna in grado di fare presa sugli elettori, che fanno la loro scelta sempre più a ridosso dell’ingresso in cabina. Con buona pace dei sondaggisti, che spesso diventano il capro espiatorio, dal momento che una fotografia perfetta dell’elettorato fatta a pochi giorni dal voto può in breve tempo trasformarsi completamente.
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