Il primo dato che stupisce, in questi giorni: la battaglia politica sul reddito di cittadinanza ha già cambiato il racconto delle elezioni. E sicuramente, il 25 settembre, ne determinerà il risultato. Se, per spiegare cosa sta accadendo negli ultimi cento metri di questa campagna elettorale, bastassero un fermo immagine e una battuta sapida, a regalarci entrambi è stato, nella nottata di venerdì scorso, un siparietto durante un cambio palco alla festa di TPI di Bologna. Ed ecco la scena: dalle scalette sta scendendo l’ex sindaco di Torino pentastellata, Chiara Appendino. Mentre sulla ribalta sta mettendo piede il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. I due si conoscono, si stimano. E incrociandosi a metà strada, con spirito sportivo, Bonaccini dice: «Chiara, hai preso un mare di applausi… Devo farvi i complimenti per la vostra campagna elettorale». La Appendino ricambia con una stoccata fulminea: «Ti ringrazio molto: voi del Pd ci state dando un grandissimo aiuto. Ma davvero grande». C’è ironia, ovviamente, in quel ringraziamento. Ma anche questo dialogo è la sintesi di un ribaltamento di rapporti di forza tutt’ora in corso. Solo un mese fa, come abbiamo raccontato su TPI, l’idea di molti dirigenti del Pd era che il M5S fosse finito, che Di Maio e il suo Impegno Civico fosse l’alleato su cui scommettere per il futuro, un astro nascente, soprattutto dopo la scissione. A luglio Bonaccini diceva: «Non si possono fare patti con chi ha mandato a casa il governo Draghi». E con le stesse parole Enrico Letta chiudeva la porta.
In queste ore, invece, con uno degli scarti pragmatici in cui è maestro, Bonaccini ha scavalcato Letta, aprendo virtualmente la sua campagna congressuale da segretario, e ripetendo in tutte le feste (fra l’altro tra gli applausi): «Io voglio fare l’alleanza elettorale più larga possibile, voglio che si tengano dentro tutti, per battere questa destra» (cioè anche il M5S). Una presa di posizione che crea (per ora) un paradosso: infatti la sinistra del Pd che tifava con passione per il “campo largo” è ancora stretta intorno a Letta (che con la sua scelta dopo la non fiducia a Draghi lo ha affondato).
Mentre Bonaccini, che pure è sostenuto dalla “destra” del Nazareno, difende l’alleanza, che gli ex renziani del Pd (d’accordo con il segretario in quel passaggio cruciale), hanno combattuto. Quindi, almeno sulla carta, l’unico tema su cui il congresso del Pd non dovrebbe dividersi è l’accordo con Conte dopo il voto: ovvero la debacle nei collegi che tra gli addetti ai lavori tutti ormai danno per scontata (proprio per via di quella divisione).
Ma cosa ha prodotto questo ribaltamento? Un insieme di fattori che si sono catalizzati proprio intorno alla battaglia sul reddito. Una bandiera che, fra l’altro, era stata quasi abbandonata dai grillini più governisti durante la stagione di Mario Draghi, e che Conte invece ha rimesso al centro della sua narrazione elettorale. Se si andasse a riprendere l’intervista del leader M5S, proprio su questo giornale (un anno fa), si scoprirebbe che fin da allora Conte lo considerava il tema decisivo. Ma alle ultime Amministrative (da sempre il terreno più difficile per il M5S), lo striminzito 4,5 per cento del riepilogo nazionale aveva prodotto nei dirigenti del Pd un effetto ottico: il M5S è morto, l’unico spazio politico rimasto è al centro. Un errore di strategia. I primi segnali che questa interpretazione è sbagliata arrivano a fine agosto, dopo il primo viaggio di Conte in Sicilia. I cronisti restano stipiti a Palermo, dove – sopra le teste di una grande folla – le finestre si aprono, e qualcuno si affaccia chiamando Conte, nientemeno, «Papà». Sembra uno scherzo, invece gli interessati, davanti alle telecamere spiegano: «per via del reddito per noi è “un padre”».
Passano pochi giorni e i sondaggi registrano una impennata: «Torno dalle vacanze», sorride la sondaggista Alessandra Ghisleri, «e mi ritrovo il M5S al 22 per cento al Sud. Credevo fosse un errore». Ma accade anche al collega, Lorenzo Pregliasco: in pochi giorni, in tutto il Sud, il dato proporzionale di Conte era balzato al 24 per cento. Dopo pochi giorni la stessa onda si riproduce anche nei collegi (nel periodo in cui non erano secretati), con un sommovimento che colpisce i dirigenti del Pd: «Rubando dei voti anche a destra», mi dice un dirigente del Nazareno, «l’avanzata rimette in gioco anche alcuni nostri candidati». In particolare il M5S potrebbe vincere a Napoli, in almeno due collegi. Ecco perché il rammarico di Francesco Boccia (ex ministro, forse nel Pd più vicino a Conte) è grandissimo: «Uniti, forse, al Sud, avremmo potuto vincere tutti gli ottanta collegi e fare cappotto». Ma la testimonianza più stupefacente, forse, è quella di Luigi Di Maio, che mi ha racconta lui stesso di come ha percepito questa mobilitazione di popolo: «C’è stato un momento», mi dice, in cui poteva essermi assegnato il popolarissimo collegio di Barra…» (vecchio feudo del PCI, che in quei seggi superava il 7 per cento, ndA). «Ma alla fine, per fortuna, ho avuto il Vomero. E dico volutamente “per fortuna”», mi racconta il ministro degli Esteri, «perché in quei quartieri popolari i nostri attivisti hanno iniziato ad avere da subito dei problemi, aggrediti quasi tutti i giorni da persone che gli dicevano: “Voi qui non ci dovete stare! Noi votiamo tutti M5s, perché c’è la Meloni che vuole cancellare il reddito!”». Una scelta ben ponderata, se è vero che Guido Crosetto spiega: «Non solo ci siamo schierati contro il reddito. Ma, almeno noi eravamo consapevoli da subito che al Sud questa scelta ci avrebbe fatto perdere voti!». Anche la Lega (che pure ha votato la legge) è contro.
Matteo Renzi vuole addirittura il referendum. Solo la settimana scorsa, un gruppo di elettori imbufaliti invera l’analisi di Di Maio aggredendolo in mezzo alla strada (anche fisicamente, al punto di essere “salvato” dalla scorta) al grido: «Vattenne!». «Traditore!». E ancora, una signora bassa: «Napoli non ti vuole, Napoli ti schifa!». «Per noi», spiega Chiara Appendino, «il reddito è stato il catalizzatore che ha accesso il faro su salario minimo, pacchetto antiprecarietà, e i bonus». A Napoli i gazebo di Impegno civico vengono letteralmente smontati. Ma è stata la guerra dei ricchi contro i poveri, a far incazzare i poveri.