Ha scritto qualche giorno fa Flavio Briatore sul suo profilo Instagram: “C’è un signore con Master al Massachussetts Institute of Technology, ex governatore della Banca d’Italia, consulente delle più importanti società del mondo, presidente del Financial Stability Board, professore ordinario in politica monetaria, membro del Board of Trustees di Princeton, presidente per 8 anni della Banca Centrale Europea, che deve fare le consultazioni con il bibitaro, la Signora Pina, quello con la terza media, l’ex velina, la lavandaia, l’ex tronista, il dj, il diplomato alle scuole serali, l’odontotecnico. È come se Michelangelo si mettesse a fare le consultazioni sulla pittura con quello che fa le strisce pedonali… Auguri a Mario Draghi”.
Il nostro interesse per Briatore diciamo che è sempre stato piuttosto scarso, pertanto, fatto salvo il doveroso rispetto per la persona, eviteremo di commentare questa sua infelice dichiarazione. Una dichiarazione che, invece, ci interessa eccome da un altro punto di vista. In questa stagione tecnocratica e di revanche liberista, con l’industrialismo a farla da padrone, lo sviluppismo a ruota e gli aperturisti che già gongolano all’idea di doversi confrontare con la Gelmini e non più con quel “menagramo” di Boccia, si è, infatti, diffusa la concezione della democrazia come un inutile orpello, un qualcosa cui si può derogare o che, pensiero latente e mai pronunciato espressamente perché, per ora, sembra brutto, si può anche abolire.
Non contano più destra e sinistra, maggioranza e opposizione, le idee, le visioni, le proposte e i principî differenti, non esistono concezioni del mondo radicalmente opposte, non ci sono linee di frattura che tagliano in due la società: no, contano i competenti, i migliori, in una riproposizione contemporanea dell’oligarchia che è sempre l’anticamera della dittatura. Via gli “incompetenti”, quindi, e dentro gli “aristoi” 2.0, con lauree e master a spiovere, cattedre universitarie, esperienze internazionali da supermanager galattici, un inglese fluente e un’ottima rete relazionale.
E al diavolo, per l’appunto, la signora Pina, la vecchietta che va al mercato ed è costretta a rinunciare a prendere le arance perché non se le può permettere, l’operaio disperato perché, quando saranno sbloccati i licenziamenti, finirà nello sterminato elenco dei disoccupati; al diavolo il piccolo imprenditore che fallisce perché la pandemia ha bruciato i ricavi della sua azienda; al diavolo tutti coloro che, nella piramide sociale, risiedono nella parte più basse e viva le altezze, le eccellenze, il merito!
Al diavolo anche tre decenni di pensiero economico anti-liberista, maturato in contrapposizione alla sbornia anni Ottanta della Reagnomics e del Washington Consensus, con il taglio indiscriminato delle tasse a farla da padrone e l’idea, rilanciata provocatoriamente persino dal mondo del cinema, che l’avidità sia un valore e la cultura dello scarto il non plus ultra. Al diavolo addirittura papa Francesco e le sue encicliche, buone da mettere sul comodino o in libreria per esibirle alla bisogna, ma guai a leggerle a fondo e, magari, a trarne qualche insegnamento perché delineano un’altra idea di società, nella quale anche il superuomo tanto invocato in queste settimane non può prescindere dai poveri, dagli ultimi e dai deboli svolgere al meglio la sua azione.
Non entriamo nel merito del governo Draghi: un esecutivo appena nato e, per forza di cose, figlio di compromessi al ribasso, mediazioni estenuanti e accordi imposti dalla necessità di far coesistere ciò che insieme non potrebbe e non dovrebbe mai stare. La riflessione necessaria riguarda, invece, il mondo dell’informazione, il nostro mondo, e tutti i corifei che sono accorsi ad agitare il turibolo per incensare il nuovo dominus, ignorando di proposito il fatto che Draghi, uomo di grande esperienza e inoppugnabile saggezza, abbia compiuto consultazioni ampie e tenuto conto, per quanto possibile, di tutte le esigenze, compresa quella del M5S di affidare ai propri iscritti, sia pur in maniera discutibile, la decisione finale sul da farsi.
Anche l’atteggiamento nei confronti della consultazione on-line del movimento fondato da Beppe Grillo denota un diffuso fastidio per l’idea stessa di democrazia. Come ha scritto su Domani il politologo Piero Ignazi, sembrava di essere involontariamente protagonisti della “Contessa” di Pietrangeli, con l’indignazione di chi vive in cima alla scala nei confronti degli straccioni che pretendono persino di votare e decidere.
Al che, vien da dire a tutti questi signori che la differenza fra la democrazia e sistemi che democratici non sono è proprio questa: in democrazia, anche chi ha la quinta elementare, non conosce bene i congiuntivi, non parla le lingue e, magari, fa il contadino o il muratore e ha le mani piene di calli e di piaghe ha il diritto di esprimere le proprie idee e di votare liberamente; nel sistema che sembrano auspicare lorsignori, no, ma come diceva Churchill “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Anche SuperMario, perciò, con il suo carico di gloria, di contatti di livello globale, di prestigio, di storia, di fama e di frequentazioni abituali con banchieri e premi Nobel, ora che si trova a guidare un’istituzione come la Presidenza del Consiglio, se non vuole fallire miseramente, avrà bisogno di prestare ascolto a chi non ha mai avuto voce in capitolo e a coloro che, da anni, i giornali colpevolmente ignorano, ossia a quella base della piramide senza la quale la piramide stessa viene giù.
E questo Draghi, a differenza dei suoi strumentali laudatores, lo sa benissimo, con l’auspicio che se ne ricordino o lo imparino presto anche certi suoi ministri, senz’altro dotati di ottime maniere ma le cui idee, in ambito economico e sociale, ci riportano agli anni Ottanta ma dell’Ottocento, prima che le masse si riunissero in partiti e sindacati e rivendicassero il pieno diritto alla cittadinanza, in contrapposizione con una visione censitaria ed escludente della società.
Venendo, infine, agli speciosi discorsi sulla pacificazione nazionale, se ne parla da una decina d’anni, da quando nacque il governo Monti, con la conseguenza di aver creato un clima sociale tossico e rapporti politici che non erano mai stati così disumani, neanche negli anni in cui in Italia tirava aria da colpo di Stato ed esplodevano le bombe nelle banche o sui treni.
Ci sia consentito, dunque, ricordare ad alcuni colleghi e, soprattutto, a determinati poteri, più o meno visibili, un passo significativo dell’Agricola di Tacito: “Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di totale devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l’oriente né l’occidente possono saziare; loro soli bramano possedere con pari smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, quello chiamano pace”.
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