La nuova legge di Bilancio conferma la vecchia legge di natura, secondo cui pesce grande mangia pesce piccolo. Se mettiamo in fila tutto quello che dentro c’è (e fa già un bel peso, in primis l’avvio della controriforma pensionistica), e quello che non c’è (tutele per il lavoro, ammortizzatori sociali adeguati, salario minimo, potenziamento di servizi essenziali per redditi bassi, rilancio della sanità pubblica), abbiamo un quadro di che cosa significa l’applicazione al bilancio statale del famigerato trickle down: la teoria dello “sgocciolamento” in base alla quale facendo affluire la ricchezza in alto, prima o poi una parte gocciolerà in basso, come alla mensa del ricco epulone.
Prendiamo la questione delle pensioni, che costituisce il pezzo forte della manovra: si torna, come nel gioco dell’oca, alla casella di partenza. Cioè dove, fin dall’inizio, avevamo capito tutti che il Capo dei Migliori voleva arrivare. In un paio di anni, giusto per addolcire il palato amaro di Salvini, riapproderemo a “quota Fornero” – ovvero a “quota zero”, sia pur celata dietro il trompe l’oeil di quota 102 o 104 -: cioè a quei fatidici 67 anni monogender che sono in assoluto l’età pensionabile più avanzata di tutta l’Unione europea (in cui l’età media è di 64,4 anni per gli uomini e di 63,4 anni per le donne).