È davvero impressionante l’unanimità di apprezzamenti che accompagnano i primi giorni di Mario Draghi alla guida del Governo. A sostenerlo c’è una maggioranza schiacciante in Parlamento (anche se Mario Monti ottenne un voto di fiducia persino più largo), sommata a un consenso davvero plebiscitario nel Paese, dalla stampa all’opinione pubblica.
Il futuro sembra radioso per il nuovo capo del governo, che, grazie alle capacità gestionali che gli vengono riconosciute in tutto il mondo e agli straordinari strumenti messi a disposizione dal Next Generation EU, ha la concreta chance di essere protagonista del rilancio del Paese. E se tutto andasse secondo auspici, la sua collocazione a Palazzo Chigi sarebbe davvero una camera con vista sul Quirinale, come da tempo si dice nei palazzi del potere.
Tuttavia, proprio la prossima conclusione del mandato di Sergio Mattarella suggerisce alcune riflessioni. Eletto il 3 febbraio del 2015, il Presidente della Repubblica giungerà al termine del suo settennato nel 2022 e ha già ampiamente anticipato la sua indisponibilità nei confronti di quel reincarico che ha smesso di rappresentare un tabù istituzionale dopo il bis concesso da Giorgio Napolitano. Dai primi di agosto inizierà il suo semestre bianco, ovvero i sei mesi finali nei quali il Presidente non può sciogliere le Camere (salvo che coincidano con la fine naturale della legislatura, ma non è questo il caso).
Considerando anche la scarsa produttività alla quale il Parlamento ci ha abituato nei mesi estivi, Draghi ha davanti a sé davvero poco tempo per fare fronte alle elevatissime aspettative che ci sono nei confronti del suo governo, prima del “rompete le righe”.
Una volta venuto meno lo spettro delle elezioni anticipate, che ha giocato un ruolo fondamentale nella nascita di questo esecutivo, le singole forze politiche avranno infatti campo libero per assumere le posizioni che riterranno più opportune, anche e soprattutto nel rapporto con la propria base.
Pertanto non è irrealistico pensare che già nel prossimo giugno gli sbandierati valori di responsabilità e unità nazionale lascino il posto a singoli mal di pancia interni a una maggioranza decisamente troppo eterogenea per poter durare nel tempo.
L’innaturale convergenza tra il fuoriclasse ex Bce e gli antieuropeisti chissà quanto pentiti potrebbe sgretolarsi di fronte al timore di lasciare alla sola Giorgia Meloni il comodo ruolo del bastian contrario. E anche sul versante Pd-M5S potrebbe maturare la convinzione che lasciare campo libero a Nicola Fratoianni non sia poi una buonissima idea, soprattutto se il Governo-Draghi – come alcuni paventano – dovesse adottare provvedimenti impopolari in campo sociale.
Oggi forse sembra irrealistico pensare che l’enorme credito di cui gode Draghi possa erodersi già al solstizio d’estate, eppure non sarebbe un fatto inedito. Basti pensare alla rapidità con la quale numerosi leader politici sono passati dalle stalle alle stelle e viceversa, anche in circostanze del tutto diverse. Siamo un Paese che notoriamente eccelle nell’accorrere in soccorso al vincitore di turno, ma anche nel calcio dell’asino che puntualmente viene riservato al potente appena sceso dal trono.
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