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    Mario non è più super: Draghi ha messo le sue ambizioni davanti agli interessi del Paese

    Credit: Agf
    Di Riccardo Barenghi
    Pubblicato il 27 Gen. 2022 alle 18:55 Aggiornato il 27 Gen. 2022 alle 18:56

    Non ci sono più le mezze stagioni, signora mia… Chissà che fine hanno fatto? E chissà che fine ha fatto quel premier che solo un anno fa era stato applaudito, anzi osannato, da quasi tutti i partiti e dalla stragrande maggioranza degli italiani? Quell’uomo chiamato dal presidente Mattarella a prendere in mano il governo del Paese e a salvare l’Italia dalla pandemia e dalla crisi economica, quel premier che gli bastava alzare il sopracciglio per mettere a tacere chiunque osasse obiettare qualcosa, chiunque esprimesse dei dubbi sulle sue decisioni, che nei consigli dei ministri non sentiva ragioni che fossero diverse dalla sua, che nelle conferenze stampa parlava poco, ma quanto bastava per liquidare le domande scomode, magari con una battuta capace di affascinare e tacitare anche il più navigato dei cronisti.

    Ecco, che fine ha fatto Mario Draghi? Da diverse settimane quel Draghi è sparito dai radar. Durante l’autunno, nell’azione di governo, si è mostrato titubante, nervoso, poco lucido nelle decisioni da prendere, insicuro nel rapporto con i leader della sua maggioranza tanto larga quanto improbabile, addirittura poco coraggioso nell’affrontare i giornalisti, arrivando a dover chiedere scusa per non aver tenuto la classica conferenza stampa per spiegare i provvedimenti presi dal suo governo nel pomeriggio.

    Fin qui si poteva pensare a un momento di stanchezza, quello che nel tennis si chiama “passaggio a vuoto”. Poi però, dalla fine di dicembre, i passaggi a vuoto si sono moltiplicati e ancora oggi facciamo fatica a riconoscere il premier che conoscevamo.Perché, che cosa gli è successo, qualcuno gli ha fatto un incantesimo, lo ha stregato, lo ha drogato, facendogli perdere i super poteri come capitava a Nembo Kid con la kriptonite rossa?

    Nel suo caso la kriptonite si chiama politica, accompagnata da un’ambizione personale che gli ha fatto perdere la bussola. Forse perché, per quanto “uomo di mondo” che per decenni si è destreggiato benissimo all’interno delle più importanti istituzioni internazionali che governano l’economia mondiale, Draghi non ha mai conosciuto i meccanismi della politica nazionale e quindi non li sa gestire.

    Ha confuso i poteri, ha pensato che bastasse essere se stesso per ottenere quello che voleva, ha sottovalutato le capacità dei partiti di resuscitare quando sembravano morti sepolti e in totale balìa della sua leadership. E ha cominciato a sbandare vistosamente. La sbandata più evidente l’abbiamo vista nella conferenza stampa di fine anno, quando si è dichiarato «un nonno al servizio delle istituzioni», una frase che tutti hanno giustamente interpretato per quello che era, ossia l’auto-candidatura alla presidenza della Repubblica.

    Ecco, da quel momento Draghi ha cambiato natura: da premier super partes è diventato un politico “normale”, uno che pensa più al suo futuro, o se vogliamo alla sua carriera, che agli interesse del Paese. Il quale Paese avrebbe preferito che lui rimanesse al di fuori dell’agone politico, delle trame dei partiti, delle candidature vere o fittizie al Quirinale, dei giochi politicisti, di tutto quello spettacolo penoso a cui stiamo assistendo in questi giorni. Invece non è andata così e Draghi è diventato uno dei tanti, uno che si è addirittura esposto a condurre consultazioni personali sul suo ruolo futuro, fosse al Quirinale o ancora a palazzo Chigi. Una scena del genere non si era mai vista, non avevamo mai visto un presidente del Consiglio che si candidasse alla presidenza della Repubblica e che per raggiungere questo obiettivo fosse pronto a sacrificare l’interesse del Paese, come si dice con una frase fatta.

    Ora, mentre scriviamo queste righe non possiamo sapere come sarà finita la partita, magari alla fine Draghi sarà anche riuscito a farsi eleggere al Quirinale, anche se al momento non sembra che i suoi consensi siano molto alti. Oppure sarà stato costretto a restare al governo fino alla fine della legislatura, subendo un rimpasto (concetto che il Draghi di una volta avrebbe aborrito), quantomeno per poter completare il lavoro che aveva cominciato e che non può rimanere in sospeso. Anche perché tutte le istituzioni internazionali, di cui i principali giornali finanziari sono i portavoce, gli chiedono di restare al suo posto.

    E, come si sa, lui è piuttosto sensibile a questo genere di richiamo che proviene dal suo mondo. La terza ipotesi è quella peggiore, ossia che il nostro ex super premier non vada né al Quirinale e né resti a Palazzo Chigi, ma si ritiri nella sua casa umbra di Città della Pieve, umiliato e offeso. Ma, come diceva la nonna di mia madre, chi è causa del suo mal pianga se stesso.
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