È immediato e sarà duraturo l’effetto Draghi per la reputazione del nostro Paese nel mondo. I sondaggi di casa nostra già registrano un’impennata di fiducia e consenso degli italiani nei confronti del nuovo leader di governo. Ma fin qui niente di nuovo. Interessante, invece, monitorare l’effetto che l’ex presidente della Bce e di Banca d’Italia avrà a livello internazionale.
La reputazione, il network e l’immagine di personalità politiche, d’impresa o intellettuali, infatti, è sempre più centrale nell’utilizzo del soft power al pari del ruolo di governi o organizzazioni sovranazionali con le campagne culturali, l’uso dei film o della lingua, del cibo o del lifestyle.
Azioni che aiutano ad orientare, persuadere, convincere, attrarre e cooptare comunità e governi senza l’uso dell’hard power delle armi o della “guerra fredda”. Nel caso del presidente del Consiglio incaricato potremmo definirlo il soft power della competenza: quella soffice capacità di influenzare che Mario Draghi, con naturalezza, ha utilizzato con successo nelle consultazioni, ma che ha anche già prodotto notorietà e consenso a livello globale, grazie alla reputazione e alla profonda rete di relazioni costruita in decenni di attività ai vertici.
Il soft power, ricordiamolo, è la capacità di un Paese, di una azienda, di un leader di far passare le proprie idee, utilizzando cultura e valori, ovvero la capacità di influenzare il comportamento e le scelte altrui attraverso la persuasione e un’abile e credibile capacità di proiettare un’immagine positiva di sé. Il soft power rappresenta, dunque, uno strumento chiave, il cui utilizzo diventa sempre più assiduo soprattutto in un mondo di leadership ipertrofiche che esplodono alla stessa velocità con cui si materializzano.
Vengono alla memoria alcune parole pronunciate dallo stesso Draghi, nell’ottobre 2019, in occasione della lectio magistralis all’Università Cattolica: “La competenza fondata sulla conoscenza è essenziale per capire la complessità”, ammoniva riguardo la lettura della modernità e gli strumenti per affrontarla.
Era più o meno il periodo nel quale Thomas Nichols pubblicava un libro di successo (“La fine della competenza”), predittivo di quanto sarebbe poi accaduto a diverse latitudini con l’avvento dei partiti populisti e nazionalisti.
Sarà quindi la reputazione di Draghi, l’immagine che questo conferisce all’Italia, costruita sulle competenze, a salvare l’Italia in un momento così complesso? Non è da escludere.
Per questo è necessario, per gli addetti ai lavori e non, riflettere sull’implicazione di questa nuova forma di soft power che fonda sulla reputazione e su un lavoro, non episodico, di personal branding. Senza trascurare quello che è da molti definito il petrolio del nostro Paese: la cultura ed il made in Italy.
La diplomazia culturale è già da tempo utilizzata dalle punte più avanzate del nostro Paese all’estero e spesso senza richiamare la necessaria attenzione in Patria. Iniziative capaci di creare rete e amplificare le interazioni tra l’Italia e gli altri Paesi.
Ne è un esempio la recente inaugurazione del Festival della Cultura Italiana in India, alla presenza del ministro degli Affari Esteri Jaishankar e del direttore generale del Consiglio indiano per le relazioni culturali Dinesh Patnaik, promossa dall’Ambasciatore italiano, Vincenzo De Luca, una delle tante punte di diamante della nostra diplomazia.
Con Draghi, dunque, alle forme di soft power “convenzionali”, difficili peraltro da attuare in un periodo di pandemia, possono aggiungersi azioni basate su competenza, credibilità ed affidabilità. Ancora Draghi alla Cattolica: “La lezione della storia è che le decisioni destinate ad avere un impatto duraturo e positivo sono basate su un lavoro di ricerca ben condotto, su fatti accuratamente accertati e sull’esperienza accumulata”.
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