Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Opinioni
  • Home » Opinioni

    Draghi impone temi e silenzia il dibattito sul Quirinale (di M. Vigneri)

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 11 Gen. 2022 alle 11:08 Aggiornato il 11 Gen. 2022 alle 16:19

    “Io non parlo di cose che non conosco”, diceva l’alter ego di Nanni Moretti, Michele Apicella, in “Sogni d’Oro“. “Io non parlo di Quirinale”, dice Mario Draghi all’esordio della conferenza stampa di lunedì 10 gennaio, convocata per rimediare alle critiche mosse per il mancato incontro con i giornalisti dopo l’ultimo Consiglio dei Ministri. Il premier chiede scusa per non aver parlato prima, sottolinea che “c’è stata una sottovalutazione delle attese che tutti avevano” ma rifiuta a priori di rispondere a qualsiasi domanda che riguardi “gli immediati futuri sviluppi, il Quirinale e altre cose”, prima di lasciare la parola ai cronisti.

    Il clima è molto diverso dalla conferenza stampa di fine anno organizzata dall’Ordine dei giornalisti, che per molti commentatori era stata anche l’ultima in qualità di premier: Draghi si comportava da possibile candidato al Colle, sicuro che il governo potesse andare avanti “a prescindere da lui” e disposto a mettersi al servizio delle istituzioni come un “nonno”. Aveva fatto man bassa di applausi e si era destreggiato abilmente tra gli interrogativi sul futuro dell’esecutivo.

    Questa volta evita le acrobazie restringendo da subito il campo di azione dei giornalisti, che a loro volta gli risparmiano i colpi. Domande a cui sanno che non risponderà. Il premier, che da banchiere lasciava loro indovinare la politica monetaria europea dal colore delle cravatte e che dall’inizio del mandato li ha già abituati ai suoi “sovrumani silenzi”, non concedendo interviste singole ma esprimendosi solo in queste occasioni, non aveva però mai posto condizioni all’inizio di una conferenza. E si fa fatica a ricordare altri esponenti del governo che in contesti simili hanno fatto lo stesso.

    Draghi si era semmai “avvalso della facoltà di non rispondere”, come è naturale che sia in una democrazia fatta di poteri e contro-poteri, “controlli e contrappesi”. Durante l’incontro di ieri il premier si è avvalso solo di un potere di controllo, annunciando in modo inedito i suoi paletti. “Io oggi vi parlo, ma vi parlo solo di Covid. E se mi chiedete altro, io non rispondo”, sembrava dire nella sua postilla.

    Eppure, da un lato, la partita del Quirinale è quanto mai legata all’emergenza Covid, visto che da essa dipende anche il destino del governo che gestisce la pandemia e quindi lo stato di emergenza almeno fino a fine marzo. Se la maggioranza così ampia che regge l’esecutivo si spaccherà sul futuro inquilino del Colle, come spiegato dallo stesso Draghi proprio il 22 dicembre, il governo potrebbe cadere.

    Se Draghi sarà eletto Capo dello Stato non ci sarà più un premier, e alcuni – come Silvio Berlusconi pochi minuti prima dell’inizio della conferenza stampa – hanno già annunciato che la maggioranza può reggere solo intorno al nome dell’attuale primo ministro. In un momento in cui l’emergenza che Draghi è stato chiamato a gestire in qualità di capo del governo è tutt’altro che finita, con centinaia di decessi al giorno, il caos legato alla riapertura delle scuole e gli ospedali sull’orlo di una nuova crisi, parlare di misure di contrasto alla pandemia significa anche parlare del futuro dell’esecutivo.

    “L’imminenza del voto sul Quirinale rischia di frenare l’azione del governo sulla pandemia e non solo”, gli fa notare infatti Monica Guerzoni del Corriere della Sera. “Accolgo la sua domanda per la parte accettabile”, risponde Draghi. “Intende guidare il governo per l’emergenza dell’ultima ondata?”, prova ancora a chiedere Ilario Lombardo de La Stampa. “A questa domanda non posso rispondere”, ribadisce. Ma perché?

    Per quale motivo Draghi silenzia il dibattito su governo e Quirinale? È una strategia da candidato? È una via di fuga dal logorio del toto nomi? È un modo per evitare ulteriori fibrillazioni tra i partiti dopo quelle provocate dalle dichiarazioni della conferenza stampa di fine anno? O una tattica per non “confermare né smentire” le voci che si sono susseguite nel corso della giornata, secondo cui il premier sarebbe in procinto di sfilarsi dalla corsa per il Quirinale? O ancora, anche Draghi – proprio come Michele Apicella – “non parla di cose che non conosce”?

    Sarebbe stato necessario chiarirlo. Chiarire cioè il motivo per cui non era possibile, ieri, parlare degli “immediati futuri sviluppi” di governo e del Quirinale, considerato che in una democrazia si può non rispondere alle domande altrui ma non limitare l’altrui libertà nel porle. Se Draghi riteneva la situazione delicata e grave al punto da dover restringere questa libertà, avrebbe dovuto spiegarlo, e illustrare in virtù di cosa poteva decidere di non “accettare” le domande su un tema e accoglierne altre. Perché se il silenzio è d’oro, stride quando imposto senza giustificazioni e come condizione per tutti.

     

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version