Ma Mario Draghi dove era? A prescindere dal fatto che si condivida o meno la scelta dell’obbligo vaccinale (e chi scrive – sia detto per inciso – la condivide) ieri la vera notizia era una clamorosa assenza. Un vuoto mediatico assordate. O meglio: un incredibile paradosso comunicativo. Infatti, l’uomo che ha portato l’Italia ad essere il primo paese al mondo che introduce una misura di profilassi obbligatoria, nel giorno della più storica delle risoluzioni è rimasto muto. Forse, di contro, proprio per questo motivo, sembrava quasi incredibile la scenetta scomposta con cui la risoluzione del governo è stata annunciata dal governo in serata, al termine di liti e contrattazioni furibonde. Niente presidente del Consiglio, nessuna bandiera, nessun logo della repubblica, zero solennità. Solo tre ministri, in mezzo ad una strada incappottati, sotto una mezza pioggerellina invernale. E l’uomo che dà l’annuncio storico, Roberto Speranza ha la barba non rasata, le luci delle telecamere piantate negli occhi, parla a braccio.
È vero che negli ultimi anni molti comunicatori hanno teorizzato la necessità che il potere comunichi in modo informale, ma un conto è la spontaneità, altro è l’improvvisazione. O, peggio ancora, la sensazione che in un momento come questo un aspetto così importante sia affidato, in buona sostanza, al caso. Tuttavia, è proprio questa la sensazione ingannevole a cui bisogna resistere. Il tema non è la casualità apparente dei tre ministri scappati di casa (o da Palazzo Chigi), ma piuttosto l’assenza, quella si studiatissima, del presidente del Consiglio. Ieri Draghi non c’era, e non c’era proprio perché non ha voluto esserci: non ha voluto metterci la faccia, non ha voluto lasciare la testimonianza del suo sigillo nella storia. Così, dato che questo è accaduto, è lecito immaginare che sia per l’unico motivo possibile. E il tema è che oggi Draghi (in primo luogo per se stesso), non è il presidente del Consiglio dell’obbligo vaccinale. È l’uomo che si è già autocandidato al Quirinale, e che tra pochi giorni inizierà la più complessa e delicata partita a scacchi della sua vita. Il che è senza dubbio comprensibile, ma rivela anche un singolare e inedito “conflitto di interessi”, quello di ruolo tra l’uomo di Stato in carica, e il politico che deve conquistare una base elettorale. Immaginate se Winston Churchill, nell’ora più buia avesse delegato l’annuncio ad un sottosegretario di Stato, immaginate se la dichiarazione di guerra del 1940 Benito Mussolini l’avesse fatta pronunciare a Galeazzo Ciano. Se Stalin con il nemico alle porte di Mosca avesse fatto parlare il ministro Molotov.
Immaginate se il granitico Sandro Pertini, nel 1978, il suo memorabile discorso contro il terrorismo lo avesse lasciato pronunciare al sottosegretario all’interno Virginio Rognoni: i veri leader guidano. Possono permettersi di scegliere come parlare, quasi sempre. Ma non è concesso loro il lusso di tacere.