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    Medioevo americano: se a mettere in discussione i diritti delle donne sono gli uomini (di G. Gambino)

    Credit: REUTERS/Evelyn Hockstein

    Se nel 21esimo secolo stiamo ancora discutendo del diritto delle donne all’aborto è a causa della erronea e tuttavia ancora radicata convinzione che una ristretta cerchia con potere decisionale composta in maggioranza da uomini ritiene di potere mettere le proprie zozzacce mani sul corpo delle donne (tanto metaforicamente quanto letteralmente), decidendo al posto loro ciò che è una scelta solo personale, spesso fatta di rinunce, sacrifici, sofferenze

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 30 Giu. 2022 alle 13:04 Aggiornato il 7 Lug. 2022 alle 16:38

    Dagli Stati Uniti è partita una crociata medievale che ha tolto alle donne il diritto all’aborto. Una sentenza, quella della Corte Suprema Usa, che fa piombare l’America indietro di cinquant’anni. Mezzo secolo di battaglie per tutelare il diritto all’autodeterminazione del genere femminile. Mentre tutti ci interroghiamo sulle conseguenze culturali e sociali che una tale scelta potrà avere nel resto del mondo per l’influenza che Washington esercita sul cosiddetto mondo liberale e democratico, le storie impressionanti che abbiamo raccolto da New York rivelano che di liberale e di democratico c’è molto poco nel modo in cui, dal giorno alla notte, è stato vietato a centinaia di migliaia di donne di poter abortire. Spesso usiamo dire che la commistione tra il potere esecutivo, giudiziario e legislativo sia così elevata solo in Italia. Quanto di più falso. Ne è la prova la Corte Suprema americana composta da 9 giudici che, oggi a maggioranza repubblicana, ha processato con una decisione politica l’autodeterminazione del corpo delle donne per perseguire l’agenda della destra. Dimostrando, e questo è forse l’aspetto più grave, che ancora oggi personal is (still) political.

    Quando invece la sfera umana, legata cioè alle decisioni della persona, deve necessariamente essere svincolata dal potere della politica e dai più o meno legittimi interessi che dietro si celano.  In seguito alla revoca di Roe v. Wade, sui social è iniziato il tam tam di immagini, meme e post su come fare per ottenere pillole per l’aborto spedite via posta a casa aggirando la decisione della Corte Usa. Ma Meta – Facebook e Instagram – ha mostrato ancora una volta di avere una policy tutt’altro che a-politica, dal momento che centinaia di post pubblici in cui gli utenti si scambiavano commenti per aiutarsi a vicenda al fine di ottenere pillole abortive sono stati oscurati o rimossi. «Se mi scrivi in privato e mi invii il tuo indirizzo ti invio la pillola», si legge sotto uno dei post. Commento rimosso nel giro di un minuto da Meta. Cosa che invece non pare accadere quando al posto di pillole e aborto si menzionano le parole pistola e marijuana.Una serie di aziende americane, tra cui la stessa Meta (!), ha invece mostrato il proprio sostegno a favore di quelle donne che desiderino abortire e che ora non possono più farlo poiché residenti negli Stati federali che hanno reso l’aborto illegale, offrendosi di rimborsare le spese per raggiungere i luoghi in cui è ancora legale farlo.

    Ma l’onda lunga partita dagli Usa ha un riverbero diretto anche in Italia, dove la legge 194 con cui nel 1978 fu approvato il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è ancora oggi molto spesso una chimera. In primo luogo per la scarsa trasparenza dei dati forniti dalla relazione ministeriale, che rende poco veritiera la fotografia statistica sui numeri dell’aborto in Italia, ma anche e soprattutto perché siamo uno dei Paesi europei con il più alto tasso di obiettori di coscienza (con alcuni primati, vedi in Alto Adige).

    Molte strutture si dotano di medici che rifiutano l’aborto rendendo di fatto la 194 inapplicabile. Così se una donna che vuole abortire oggi si presenta in una struttura sanitaria chiedendo aiuto, rischia di ritrovarsi in una condizione in cui quella legge sembrerebbe come non essere mai stata approvata, nonostante lo sia stata quasi cinquant’anni fa. Tutto questo – complice anche il recente vento anti-abortista che soffia dagli Usa – rende l’obiezione di coscienza sempre più uno strumento di ostruzionismo culturale e sociale fondato anche su falsi miti e pseudo-credenze religiose. Un ostacolo al progressismo sociale e al primato della scelta della donna in questioni riproduttive.

    Il tema di fondo in fin dei conti è questo: se nel 21esimo secolo stiamo ancora discutendo del diritto delle donne all’aborto è a causa della erronea e tuttavia ancora radicata convinzione che una ristretta cerchia con potere decisionale composta in maggioranza da uomini ritiene di potere mettere le proprie zozzacce mani sul corpo delle donne (tanto metaforicamente quanto letteralmente), decidendo al posto loro ciò che è una scelta solo personale, spesso fatta di rinunce, sacrifici, sofferenze. Tutto questo è profondamente sbagliato. Ed è il motivo per cui il nostro giornale continuerà a battersi, come sempre ha fatto, per quella che è una battaglia di civiltà volta al progressismo della nostra società.

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