Per quanto una causa possa essere giusta, quando corre su binari sbagliati rischia di schiantarsi contro un muro. E a quel punto poco importa se si aveva ragione o torto, perché una volta che la partita è persa si deve attendere il prossimo giro. Questa parabola è esattamente quella che rischia di percorrere il DDL Zan.
Da questo punto di vista poco importa quale sia il contenuto di questa legge: si batte per obiettivi nobili e come qualsiasi altra legge può essere migliorabile o peggiorabile. Quello che ci interessa comprendere è come questo DDL partendo da obiettivi giusti sia stato messo sui binari sbagliati e come sia arrivato a un passo dal naufragare.
L’errore lo fanno prima di tutto il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle, le due forze che dal 2019 si stanno annusando per cercare di capire se sia il caso o meno di stringere un’alleanza per la quale sembra sempre mancare un collante definitivo.
I due partiti hanno legittimamente scelto di fare del DDL Zan una bandiera: una cosa che può essere anche ritenuta giusta, visto che la legge tratta temi di notevole importanza. Ma l’accanimento nel ritenere immodificabile il testo così come approvato al primo passaggio parlamentare ha contribuito a fare della legge una bandiera, vista da molti come strettamente legata a una parte politica e con difficili possibilità di convergenza. Tutto giusto, non fosse che PD e Cinque Stelle in parlamento non hanno la maggioranza, e se si tiene il punto a prescindere basta un tentennamento per far dire addio al DDL.
Le leggi hanno spesso iter complessi, fatti di emendamenti e seconde letture: è normale, perché dietro una legge importante c’è sempre un lavoro importante. Sono tecnicismi che magari mal si sposano con la velocità della società di oggi, ma senza i quali le leggi non esistono. PD e Cinque Stelle hanno di fatto voluto dire no a priori qualsiasi forma di revisione, col timore che ciò rappresenti un regalo alla destra e a Salvini, un atteggiamento manicheo che ha contribuito ad avvelenare il dibattito sull’argomento. In un mondo in cui sui social, ogni giorno, tifoserie si scontrano in un assurdo muro contro muro senza alcuna possibilità di approfondimento, di sintesi e senza che alcuna sfumatura possa avere voce, la linea “o DDL Zan o morte” ha rischiato di trasformare qualsiasi innocente dubbio in una vicinanza a Salvini o, peggio, in una manifestazione di omofobia. Ma non è detto che sia così, perché bella o brutta che sia, una legge non può essere una patente per stabilire chi sia tollerante o no.
Ma la trasformazione del dibattito sul DDL in uno scontro tra tifoserie è solo una parte degli errori che sono stati commessi. “O Zan o morte” è una linea legittima, ma che se in parlamento non si ha la maggioranza non è detto che funzioni: per la cronaca, PD e Cinque Stelle questa maggioranza, da soli, non la hanno, e gli serve una stampella. Nel primo passaggio alla Camera della legge questa stampella è arrivata da Italia Viva, ma anche qui avevano tutti gli elementi per capire che – e qui non ci interessa se a ragione o a torto – non si sarebbe unita a un passaggio a colpi di maggioranza.
Ricordiamo bene come gli stessi partiti promotori del DDL Zan, nel gennaio scorso dovettero affrontare una crisi di governo proprio per l’uscita di Italia Viva dal governo Conte-bis. Eppure, invece di adattarsi alla crisi e provare a ripartire con Conte su nuove basi, si ostinarono a cercare di sostituire Italia Viva con un gruppo non meglio specificato di responsabili, che non si sa a che titolo si sarebbero dovuti unire e non si sa nemmeno su che basi. Morale della favola: Conte ha lasciato Palazzo Chigi, gli è subentrato Mario Draghi e PD e Cinque Stelle governano insieme alla tanto vituperata Italia Viva e al “super-cattivo” Salvini.
Eppure, questa vicenda non ha messo alcun tarlo in testa a PD e Cinque Stelle, non li ha fatti pensare che Italia Viva avrebbe potuto replicare lo schema sul DDL Zan, decidendo di non sostenerli in un’approvazione della legge a colpi di maggioranza. E ora? Starà sempre a loro, PD e Cinque Stelle, decidere cosa fare, se provare ad andare avanti con la linea “Zan o morte!” col rischio che la legge naufraghi o piegarsi a potenziali modifiche. In quest’ultimo caso starà anche a loro fare in modo che l’iter non si trasformi in una folle lungaggine che porti a una forma alternativa del naufragio del DDL. Avrà poco senso scaricare la rabbia per l’impasse su Renzi, che con la frase “al Senato servono i voti, non i like” ha mostrato che in questa fase della sua vita politica predilige un ruolo centrale in parlamento alla popolarità che lo ha baciato in passato.
In ogni caso, PD e Cinque Stelle dovranno chiedersi se sia stata la formula giusta portare avanti a spada tratta una legge senza assicurarsi di avere la maggioranza col rischio che venga respinta e se ne riparli in un’altra legislatura, che sondaggi alla mano potrebbe avere un parlamento meno attento a questi temi.
Qualora la legge dovesse essere respinta, chi voterà contro dovrà prendersi le proprie responsabilità, e non stentiamo a credere che lo faccia. Ma anche chi ha votato a favore dovrà domandarsi se, per il bene della legge e delle categorie che chiedono sacrosante tutele e che il DDL Zan avrebbe voluto difendere, portare avanti la legge a queste condizioni sia stata la mossa giusta. In ogni caso, sappiamo già quale sarà l’alibi: “E’ stato Renzi”, “E’ colpa di Salvini”. Due leitmotiv da cui a sinistra non sembra ci si riesca a liberare.
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