Il grande bluff della crisi di governo a Natale
Il dettaglio più demenziale in questa para-crisi di Natale, che sembra il copione di un film dei Vanzina, è stato “l’incontro chiarificatore” fra la delegazione di Italia Viva e il premier Giuseppe Conte. Sarebbe dovuto servire per sanare la rottura e invece l’ha approfondita.
Sarebbe dovuto durare il tempo che serve per mediare, e invece si è esaurisce in poco più di mezz’ora, con la consegna di un “documento” dei renziani, che in realtà è stato già pubblicato dal leader di Rignano su Facebook, poco prima del vertice.
Se vuoi mediare, lo fai con discrezione. Se vuoi declamare e fare propaganda, usi gli incontri come un palcoscenico teatrale: ovvero quello che Matteo Renzi sta facendo, nella speranza che questa riconquistata visibilità lo aiuti ad oscurare la crescita di Azione e di Carlo Calenda.
Il contenuto della lettera, che ospita programmi e proposte su Recovery fund, ma anche su scuola, lavoro, ambiente, e persino sulla legge elettorale, dice molto sulla strategia dell’ex premier: cercare la legittimazione di un incidente politico – insomma un casus belli – più che una soluzione alle ruggini di maggioranza.
Tuttavia questo scomposto ballo da apprendisti stregoni di Italia Viva, che punta a far cadere il governo nel pieno di una pandemia – una idea geniale – non è un gioco, e non è nemmeno una operazione spregiudicata ma priva di rischio.
È un bluff dell’uomo di Rignano, ovviamente, ma è stato calcolato in modo da legarsi a tutti gli altri sommovimenti in corso. Quello di Matteo Salvini e della sua “rosa a tre” per Palazzo Chigi, con cui il leader del centrodestra, se ci fosse una precipitazione, vuole mettere in campo l’anima più dialogante del suo partito: le vecchie volpi – Giulio Tremonti e Giancarlo Giorgetti – ma anche uno stimato intellettuale “d’area” (in senso ampio) come Giulio Sapelli. Ovvero: fare un passo indietro come leader e spendere un uomo di prestigio pur di riportare il governo in casa del centrodestra.
E a questo si aggiungono i continui boatos sulla fantomatica (per ora) ipotesi tecnica a guida Mario Draghi, e persino le suggestioni giornalistiche di La Repubblica, che pur di far dimettere Conte – un bel paradosso – un giorno sì e l’altro pure caldeggia la candidatura del ministro degli Esteri titolando: “È l’ora di Di Maio” (!).
Ognuno spera in una crisi per un motivo suo, ognuno con un suo obiettivo. Il problema di questa spropositata concentrazione di vorrei-ma-non-posso, è che per diventare ipotesi credibili hanno tutte bisogno di qualcuno che sia disposto a fare il lavoro sporco. A prendersi, cioè, la responsabilità di una rottura in un momento così delicato, causando quella che sarebbe l’unica crisi europea che si svolge durante una epidemia.
Dato che è impossibile di fatto il voto per motivi sanitari (immaginate l’effetto virale di sessanta milioni di italiani convocati alle urne fra zone rosse e arancioni), la speranza di chi cerca di dare spallate è che si produca un governissimo.
Andrea Orlando, con un gusto tutto ligure per la battuta paradossale, me la spiega così: “Qualcuno vuole fare un Papeete a dicembre”. Intendendo che il memorabile Papeete salviniano sia un sinonimo di spallata: far cadere il governo durante le vacanze di Natale, proprio come il leader leghista fece con il Conte uno nell’estate del 2019.
Se fosse una mano di carte, dunque, sarebbe il momento drammatico di una partita di bari, perché ognuno dei pokeristi di questa crisi gioca oggi con un mazzo di carte truccato. È un bluff, infatti, pensare che Di Maio possa sostituire Conte, è un bluff credere che il centrodestra possa riprendere il controllo del Parlamento.
Ed è un bluff pensare che si possa spensieratamente gestire una crisi con lo spread che parte per la tangente (basterebbe solo questa argomentazione per spiegare il rischio) proprio nel momento in cui, in attesa del Recovery, il finanziamento del nostro debito avviene solo con il debito finanziato dai titoli di Stato.
Questa operazione si potrebbe fare solo avendo a disposizione un uomo che non ha nulla da perdere (e Renzi, date le sue ambizioni, in questo momento di certo lo è), seguito da una pattuglia di senatori che siano altrettanto risoluti (cosa non altrettanto facile).
Non è un caso che la settimana scorsa le chat degli eletti di Italia Viva abbiano iniziato a ribollire: “Matteo, non puoi rischiare di strappare, se si va a votare scompariamo”, ha scritto uno di loro. E l’intervista di Renzi a El Pais, in cui il leader di Italia Viva minacciava una crisi nel corso di un vertice europeo, è stata la fotografia di questo errore, che Gianni Cuperlo riassume con una battuta ironica: “Mi è sembrato come un corridore automobilistico che in pista le azzecca tutte, e poi, appena uscito dal circuito con la coppa in mano, cappotta nel parcheggio”.
Il leader della minoranza dem spiega il suo sarcasmo con questa analisi: “Renzi con le sue critiche aveva fatto leva su tante motivazioni fondate, ma l’attacco nel momento più delicato della trattativa con Bruxelles è stata una indubbia gaffe. Ha spaventato anche i suoi”.
Ed ecco che cosa tiene su la maggioranza in queste ore: la debolezza elettorale di Renzi, gli elettori che non capirebbero, i mercati che collasserebbero, il caos e la difficoltà di mettere in piedi in questo scenario una maggioranza di inciucio fra destra e sinistra.
Ecco perché è contato molto, nei giorni scorsi, il braccio di ferro virtuale che la Meloni ha impegnato con Salvini (vincendo la mano) quando gli ha chiesto un impegno esplicito contro qualsiasi maggioranza trasformistica. Per tutti questi motivi una crisi di Natale converrebbe di certo a Renzi, a Salvini (che vuole ribaltare il governo) e a tutti i poteri che scalpitano dietro di loro. Ma non converrebbe a nessun altro.
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