I soldi del Recovery plan, le divergenze sulla composizione del governo, il mancato rispetto delle liturgie della politica. Sono tante le ragioni che sono state scritte e dette nelle pagine dei giornali e ai microfoni delle conferenze stampa sulla crisi che ha colpito il governo Conte bis, culminata con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, esponenti di Italia Viva. Ragioni che, secondo i sondaggi, non hanno reso particolarmente comprensibile all’opinione pubblica questa crisi.
Eppure una valida motivazione non palesata che inserisce questa crisi nel corso naturale degli eventi esiste, e sorprendentemente in questi giorni non sembra essere emersa tra gli argomenti di nessuno dei suoi protagonisti.
Quando nel 2019 nacque il Conte bis, Italia Viva ancora non esisteva e l’alleanza tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle (allargata a Liberi e Uguali) nasceva con un unico scopo: evitare una vittoria elettorale della cosiddetta destra sovranista guidata da Matteo Salvini, appena reduce da un 34 per cento alle europee di primavera e dallo strappo che aveva staccato la spina al governo giallo-verde. Un’alleanza di comodo, niente di più, tra due forze politiche che fino a poco prima si erano combattute l’una con l’altra senza esclusione di colpi.
Ma, come due sposi che convolati a nozze con un matrimonio combinato possono poi scoprirsi innamorati, tra PD e Cinque Stelle sembra essere nato qualcosa in più rispetto al semplice interesse reciproco: il rapporto tra le due forze politiche si è approfondito, arrivando addirittura in più di una occasione a presentarsi in coalizione alle regionali e alle amministrative, un fatto fino a quel momento inedito nella storia pentastellata, in cui la corsa solitaria era un marchio di fabbrica.
Da accordo di comodo, quello tra PD e Cinque Stelle è diventata una vera e propria alleanza politica, con molti dirigenti dem ed esponenti pentastellati a lavoro per farla diventare una coalizione organica alternativa alla destra di Salvini e Meloni e guidata proprio da Giuseppe Conte.
Tuttavia, se PD e Cinque Stelle stanno diventando un’alleanza organica e Conte sta diventando il leader di questa nuova coalizione, a restare fuori da questo schema è proprio Italia Viva, che ha sempre ribadito di essere una forza diversa e incompatibile col Movimento Cinque Stelle, venendo peraltro ricambiata dai diretti interessati.
Dunque ci troviamo di fronte a un governo che vede nei due suoi principali azionisti un’alleanza di natura ormai politica e come premier il probabile leader di questa nuova coalizione, che non è più una semplice intesa di comodo tra due forze diverse unite semplicemente da alcuni specifici interessi comuni.
Se da un lato questo rafforza i presupposti su cui era nato il governo, la presenza di Italia Viva, ridotta da partner minoritario a sostenitore di un’alleanza cui è estranea, rendono legittimo approfondire se qualcosa sia cambiato o meno e se il governo può andare avanti com’è o deve cambiare qualcosa.
Quindi è naturale chiedersi cosa sia e quale sia il programma di questo governo e se Conte sia ancora la figura adatta a esserne la sintesi alla luce di questi cambiamenti. Sarebbe sicuramente stato giusto che PD, Cinque Stelle, Italia Viva e LeU si fossero guardate negli occhi per discutere su questo, alla ricerca di condizioni valide per tutti per andare avanti. Anche questo è la politica e anche questo fanno i partiti.
Eppure, sorprendentemente, questo cambio di equilibri e prospettive del governo non è minimamente emerso in queste settimane che hanno visto i rapporti tra Conte e Italia Viva sempre più tesi. Nessuno ne ha parlato, nessuno li ha voluti porre, e forse anche questo ha contribuito a trascinare la crisi in una spirale che si sarebbe, forse, potuta evitare.
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