Alla fine è uscito il documento con le linee guida in caso di contagio a scuola partorito dalla supercommissione degli esperti, con una leggera attenuazione dell’obbligo di quarantena che non disinnesca la bomba. Con queste direttive, del Comitato composto dall’Istituto superiore di sanità e dal Ministero il rischio è che a settembre le scuole chiudano (nel caos) dopo pochi giorni, e provo a spiegare perché.
1) Il primo gravissimo errore del Comitato tecnico scientifico è stato nella preparazione. In tutte le aziende in cui vengono assoldati per garantire la riapertura, i virologi cominciano dalle fondamenta: e cioè acquistando bioscanner, tamponi e test rapidi. Dove le proporzioni numeriche non consentono di monitorare tutti (perché sono troppi) elaborano protocolli con controlli a campione sulle categorie a rischio.
2) Quando i virologi di Stato hanno dovuto preparare la scuola, invece, hanno cominciato con delle richieste a dir poco demenziali. La prima è stata quella di comprare 3 milioni di banchi, impegnando una cifra folle (300 milioni di euro) che non avrà nessun impatto sulle riaperture, visto che – per stessa ammissione del ministro Lucia Azzolina (lo ha detto giovedì) -, dato l’andamento della gara, gli ultimi banchi arriveranno solo “entro il primo novembre”. La seconda richiesta (demenziale anche questa) è stata quella di spostare la profilassi a casa, con la richiesta alla famiglia di misurare ogni giorno la temperatura. Che si tratti di una follia lo ha spiegato un altro epidemiologo, il professor Crisanti, quando ha chiarito che “otto milioni di termometri, uno per ogni studente, sono la migliore garanzia di non avere nessuna certezza. Strumenti diversi, usati in modo diverso, in condizioni termiche diverse”. Il che non produce certezze, ma rischio.
3) Allo stato attuale, dunque (ed è una ennesima follia) le scuole riaprono con 2,5 milioni di banchi comprati dal commissario Arcuri (ma non installati, come abbiamo visto) e non un solo bioscanner. Anche la motivazione fornita dal Comitato ai dirigenti dell’istruzione su questo punto merita di essere indagata: con gli scanner – hanno detto i cervelloni – in istituti che mediamente possono avere 800, 1.500 studenti o anche il doppio “si sarebbero create delle file all’ingresso”. Ora, in questo caso cadono le braccia: a Fiumicino e Malpensa, negli aeroporti, i bioscanner tracciano almeno 4.000 passeggeri al giorno, in tempo reale , step by step, senza un solo secondo di fila. A Melfi, negli stabilimenti di Fca, scannerizzano migliaia di operai senza che si crei un solo ingorgo. La spiegazione, quindi, o è insensata o è una scusa.
4) Ancora più incredibile è la situazione dei tamponi: le scuole italiane non hanno riserve dedicate al loro prossimo ed enorme fabbisogno, e le unità mediche presso le Asl che devono seguire gli istituti sono in via di definizione. Quando saranno operative? “Entro il 14 settembre”, assicura il ministro Azzolina, anche se questi medici dedicati alla scuola non dipendono da lei, ma dal ministero della Sanità. La domanda è: se questa estate non bastavano i tamponi per scannerizzare un migliaio di ragazzi di Milano e Roma nord usciti dalle discoteche della Costa Smeralda, cosa ci deve far pensare che ne avremo decine di migliaia in contemporanea per tracciare i contatti dei contagiati negli istituti?
5) Nel documento non viene chiarito il mistero della quarantena per i compagni di classe di ogni infetto. Si prescrive che sia praticata, ma si lascia anche un minimo di discrezionalità agli osservatori sanitari. Provo a tradurre: nel primo testo era obbligatoria e avrebbe comportato la chiusura immediata e certa dopo pochi giorni. Poi il ministro Boccia e il ministro Azzolina hanno preso posizione netta (“Le scuole devono riaprire, i tamponi vanno fatti al più presto possibile, alla velocità della luce”) e l’imperativo categorico è diventato una direttiva di massima. È evidente che puoi derogare alla quarantena solo se fai i tamponi. Ma quanti tamponi servono? In quanto tempo si ottengono i risultati? Che succede nel frattempo? Qui è il problema. Se si fanno in un giorno è tutto a posto: se ci vogliono due o tre giorni cosa fa la classe nel frattempo? Continua ad andar a scuola oppure no? Mistero.
E qui 6) si apre un nuovo mistero che evidentemente gli estensori del documento non si sono posti. Immaginate solo per un attimo che scenario di ordinario delirio. Ipotizziamo che si fermi il bambino Roberto Speranza in terza C, e con lui tutti i suoi professori (ameno sei). Gli studenti di prima e seconda fanno lezione in classe con i professori collegati da casa? E se siamo alle medie chi interviene se due ragazzi litigano? Chi li ferma se due escono dalla classe? Mistero. Qui i numeri diventano davvero grandi.
7) Se si fermano perché risulta positivo solo l’1% degli studenti (la stessa media di quelli che escono dai tamponi in queste ore in tutti gli altri luoghi della società italiana) siamo a 80mila positivi. Se questi studenti positivi si portano dietro 480.000 professori in quarantena sarebbe dimezzato il corpo docente. Che però continuerebbe a insegnare da casa.
Quindi si corre il rischio di 8) studenti a scuola senza professori? Ma ci sarà stata almeno una persona, in questo comitato di geni, che con un po’ di senso pratico abbia vagliato le direttive dell’Istituto ipotizzando cosa succede in questo scenario? Se i professori fossero sostituiti da supplenti, invece, i professori resterebbero a casa senza lavorare per dodici giorni (cosa che per ora non è prevista) e quindi servirebbe mezzo milione di “riserve” (altro che precari!).
Ma i dirigenti scolastici avranno da gestire anche 9) la grana dei professori che insegnano su più classi. Un professore che si ferma in una seconda, manca anche da una prima e da una terza (se insegna in una sola sezione) e da altre tre o cinque classi (se ha più sezioni).
10) Basterebbero tre studenti positivi ben distribuiti, dunque, per bloccare un intero istituto. Né il documento prende in considerazione il caos che si creerebbe tra i genitori (soprattutto dei più piccoli) se i test non arrivassero alla velocità della luce: molti terrebbero i figli a casa comunque in nome del principio di precauzione, molti li manderebbero a scuola comunque perché privilegiano il diritto all’istruzione o perché non hanno alternative. I professori si troverebbero così a scuola A) a dover insegnare a studenti con didattica mista (in parte a distanza in parte in presenza) o addirittura a casa B) a dover fare lezione da remoto con studenti in parte in presenza e in parte a distanza (una follia). D’altra parte, leggendo questo documento, si capisce bene che gli epidemiologi di Stato considerano la scuola italiana una bomba. Non sembrano impegnati a farla funzionare, ma piuttosto a contenerla, come si fa con un focolaio.
Per questo 11) l’ennesima follia è strutturale: su tutte le norme sicurezza l’ultima parola non spetta al dirigente scolastico e al ministero, ma ad una organizzazione esterna alla scuola come quella della sanità. Potrebbe avere un senso se ci fosse una autorità sanitaria che è nella scuola e tratta con famiglie e personale. Cosa che in realtà non è: il medico d’istituito non esiste ancora, è una figura esterna alla scuola, che interviene solo per competenza.
Ecco perché, alla fine di tutte queste considerazioni, visto che non credo che gli estensori siano dei matti o degli sprovveduti, provo a ribaltare il ragionamento e mi chiedo se queste linee guida non siano un piano che contempla come prima ipotesi la chiusura delle scuole. Se, cioè, Ministero della Salute (i dirigenti, perché il ministro Speranza dice il contrario) e il Comitato tecnico scientifico siano partiti dall’idea che la chiusura della scuola sia un provvedimento drammatico e ineluttabile. Che questa chiusura oggi sia una richiesta politicamente insostenibile (presso il governo, presso l’opposizione e presso la maggior parte dell’opinione pubblica), ma che a questa chiusura invece si possa arrivare, con un po’ di “effetto circo” e “tritacarne mediatico”. Se è così, si spiegherebbe perché non c’è stato nessun impegno sui bioscanner e sui tamponi. Effettivamente, se lo scopo era chiudere, e non aprire, non servivano.
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