Il disegno di legge costituzionale del Governo Meloni, che prevede una forma di governo che non esiste in nessuna altra parte del mondo (il cosiddetto premierato) ed è di gran lunga peggiore del presidenzialismo alla francese, è ingannevole e totalmente privo di consistenza giuridica.
È ingannevole poiché fa intendere che la votazione diretta del presidente del Consiglio esalti la democrazia, mentre si tratta di un disegno che persegue il solo fine di dare al Governo la reale possibilità di portare a termine, nei cinque anni della legislatura, il programma dettato dal partito e o dalla coalizione che, con gli opportuni premi di maggioranza, abbia vinto le elezioni.
È privo di consistenza giuridica poiché viola la stessa funzione del Diritto, che è quella di assicurare la “eguaglianza, la libertà e la solidarietà” tra tutti i cittadini, e dà un colpo mortale alla democrazia, impedendo in pratica la partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (articolo 3 della Costituzione).
Esso, infatti, dà rilievo alle istanze e alle opinioni di una sola parte dei votanti, e cioè di quelli che hanno votato il partito o la coalizione, avente tra i suoi candidati il parlamentare eletto come presidente del Consiglio dei ministri, risultati vincenti, considerando detti parlamentari come astretti da un vincolo di mandato conferito dai loro elettori e garantendo la “continuità di questo mandato parlamentare” per tutto l’arco della legislatura.
Ne consegue che ogni singolo parlamentare non dovrebbe più rappresentare la Nazione e perseguire l’interesse di tutti i cittadini, come gli impone oggi l’articolo 67 della vigente Costituzione repubblicana, ma dovrebbe rappresentare soltanto coloro che lo hanno eletto e perseguire i loro particolari interessi.
È un fatto di inaudita scorrettezza etica e giuridica, che distrugge l’idea stessa dello Stato comunità, disgregando la Comunità stessa, e stravolgendo i principi fondamentali della vigente Costituzione, i quali, come è noto, non possono essere oggetto di revisione costituzionale e possono essere cambiati soltanto con l’approvazione di una diversa Carta costituzionale da parte di una assemblea costituente.
E pensare che l’articolo 49 della Costituzione vigente sancisce che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Il che vuol dire che, secondo la nostra Costituzione, la politica nazionale, e cioè il “programma di governo”, non può mai essere direttamente quello di un partito o di una coalizione, ma quello che vien fuori dalla dialettica parlamentare di tutti i partiti, e cioè dal diverso modo di individuare i mezzi per perseguire il bene di tutti e non soltanto quello di una parte dei votanti.
Insomma, non può sfuggire che questo disegno di legge materializza e disumanizza la funzione parlamentare, ponendo il tutto non più in una prospettiva solidale di cooperazione, ma in una prospettiva di dominio del più forte, facendo addirittura in modo che non si possa nemmeno più parlare di “sovranità” popolare, considerata la scissura, all’interno del Popolo, tra chi vince e chi perde.
A ben vedere il pensiero neoliberista, secondo il quale l’economia non è più una economia dello “scambio” che avvantaggia tutti, ma una economia della “concorrenza” che esalta il più forte e opprime il più debole, dopo essersi affermata con centinaia di leggi “incostituzionali”, che hanno dissanguato il nostro Popolo, diverrebbe un principio di rango costituzionale, da imporsi nello svolgimento di qualsiasi funzione o attività.
Uno spaventoso regresso del diritto, e, quindi, della civiltà, che è il contrario della forza. Soltanto una presa di coscienza generalizzata del disastro che questo disegno comporterebbe potrebbe salvarci dalla totale rovina.
Leggi l'articolo originale su TPI.it