Coronavirus, la vergogna del dirigente Confindustria che vuole specularci
Che colore hanno gli sciacalli? Sono grigi. Sono grigi come il semi-buio di chi trova opportunità anche nelle tragedie. Ma non sono mica possibilità di uscirne, no, sono il tentativo maldestro di monetizzare la paura. Così capita che il vicepresidente di Confindustria Centro Adriatico, Giampietro Melchiorri, abbia il coraggio di scrivere cose così: “Bisogna trasformare la paura in coraggio, l’imprevisto in opportunità. L’emergenza coronavirus cambierà, per i prossimi mesi, il mercato mondiale. La Cina, al momento, non ha ripreso la sua normale attività. Fa impressione vedere le strade di metropoli cinque volte più grandi di Roma quasi deserte. Questo, però, significa anche blocco delle produzioni e difficoltà nel reperire materie prime”.
La Cina (ma il discorso vale per tutti quelli che si trovano e si troveranno in difficoltà) in pratica non è qualcuno da aiutare ma qualcosa da sostituire nel quadro generale di un mondo che vale per il fatturato che crea, un mondo senza persone, senza fragilità, solo numeri da buttare dentro qualche bilancio.
La preoccupazione del vicepresidente Confindustria Centro Adriatico è quella di “farci trovare pronti per trasformare l’imprevisto in opportunità”. “Quello che oggi la Cina non è in grado di garantire, per stare al settore monda, ai brand, alle griffe, chi lo produrrà? Noi siamo il primo Paese manifatturiero. E all’interno dell’Italia il nostro distretto ha capacità non replicabili”, dice Melchiorri. “Il problema è che costiamo troppo. Se questo in una situazione mondiale è un limite, ma anche la nostra forza perché produciamo prodotti unici certificati dal made in Italy, in un quadro di emergenza può essere un problema”.
Chiaro? Ora bisogna solo riuscire a costare più o meno come i cinesi per potere fottere i cinesi, ora che cominciano a vacillare. E quindi quale sarebbe la soluzione? Per Melchiorri “serve una misura mirata per almeno sei mesi: uno stanziamento di risorse ingente, 100 milioni di euro, che permetta al settore pelli e calzature, quello per cui è poi è stata definita l’area di crisi complessa, di tagliare il costo del lavoro. Diventeremmo competitivi sul prezzo e giocando ad armi pari potremo far emergere le nostre capacità”.
Chiaro? E l’etica?, vi domanderete: no l’etica costa troppo, per ora, lasciamo perdere.
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