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    Scuole aperte o chiuse in caso di contagio? Ecco cosa c’è dietro il braccio di ferro Governo-virologi

    La ministra dell'Istruzione, Lucia Azzolina, e il presidente dell'Iss (e membro del Cts) Silvio Brusaferro

    Con la riapertura degli istituti il 14 settembre, il Cts teme una nuova ondata. Per questo, i tecnici hanno stilato un regolamento che rende obbligatoria la chiusura dopo pochi giorni per permettere il tracciamento. E poi hanno fatto circolare la bozza mettendo l'esecutivo davanti al fatto compiuto. Ma Conte e i suoi ministri hanno pronta una contromossa

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 20 Ago. 2020 alle 18:46 Aggiornato il 20 Ago. 2020 alle 19:04

    Coronavirus, scuole aperte o chiuse se c’è contagio: cosa insegna il dibattito Governo-Cts

    “Se c’è un contagiato in classe, tutti quelli che hanno avuto contatti con lui devono andare in quarantena“, scrivono nero su bianco i virologi del Comitato tecnico scientifico. E il ministro più impegnato sul coordinamento dell’emergenza risponde loro a stretto giro di posta: “Sulla chiusura di una scuola, e sulla quarantena dei suoi studenti deve decidere il Governo. Quel documento è solo una bozza”. Dietro queste parole pronunciate ieri da Francesco Boccia sulle linee guida elaborate dal Comitato tecnico scientifico in caso di contagio, non si fa fatica a capire che, mai come ora, il conflitto fra tecnici e Governo ha superato la soglia di guardia.

    Il dibattito sulle discoteche è la punta dell’iceberg, ed è stato solo l’anteprima di quello che potrebbe accadere, il possibile disegno che Boccia (e dietro di lui il premier Giuseppe Conte) ha intuito dietro la fuga di notizie, mentre il confronto sulle norme era appena iniziato. Il punto è che sul divieto di ballo nei locali pubblici – solo la settimana scorsa – i tecnici e i ministri si erano ritrovati a pensarla allo stesso modo (entrambi favorevoli), ma per motivi diversi: il Governo aveva in mente uno slogan del tipo “discoteche aperte, scuole chiuse”, usando la proibizione di una attività ludica come un sacrificio necessario a salvaguardare l’inderogabilità del diritto allo studio durante l’emergenza Coronavirus. Mentre i virologi del Comitato, invece, vedono le scuole come un pericolo ancora più grande delle discoteche.

    La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina è rimasta stupita per l’ennesima fuga di notizie, ma non ha preso posizione per tre giorni, aspettando il testo definitivo (che arriverà domani). Anche il ministro della Salute Roberto Speranza non ha preso posizione pubblica, ma il suo silenzio è più vicino al comitato. Ed ecco – nell’impasse – la trovata, la mossa che spiega il retroscena di queste ore: per evitare l’impopolarità generale (che un divieto esplicito di riapertura delle scuole susciterebbe nel Paese), i tecnici hanno scelto di stilare un regolamento che renda “de facto” obbligatoria una chiusura dopo pochi giorni, come il prodotto inevitabile della catena di tracciature intorno al contagiato. Se io metto in quarantena tutti coloro che in una scuola hanno avuto contatti con un infetto, in poco tempo blocco tutto un istituto.

    Il secondo passo, dopo aver trovato questo “stratagemma” celato, è stato quello di far circolare questa bozza per porre la politica di fronte ad un fatto compiuto. Sconfessare quella linea di cautela, oggi, significherebbe mettersi pubblicamente contro il Cts, rischiando una scomunica quando il gioco dei contagi a settembre producesse un effetto da circo mediatico in tutta Italia. Basta pensare al conflitto enorme di responsabilità genitori-professori-autorità sanitarie, o alle famiglie che applicando privatamente un principio di cautela ritirerebbero in ogni caso i loro ragazzi in caso di contagio. Senza calcolare le tante possibili contestazioni dei dirigenti scolastici dopo una notificazione di positività (sia se questi ultimi scegliessero di riaprire, sia che scegliessero di chiudere).

    Il Governo ha in mente una contromossa per evitare questo scenario: un regolamento che sospenda solo il contagiato e i suoi “compagni di banco” (ovvero i monoposto adiacenti in linea orizzontale) e tamponi a tutta la classe (modello Serie A) per evitare di fermare tutti. Ma esistono le risorse enormi e i test per sottoporre a screening una platea così estesa (otto milioni di ragazzi), se solo con le discoteche, in estate, la catena dei tamponi è andata in crisi? Questo scenario è ancora difficile da decifrare, così come il numero esatto di coloro che dovranno essere sottoposti a tampone.

    Quindi, per la prima volta, perdere la copertura degli epidemiologi per il Governo sarebbe un problema. In passato era accaduto una sola volta, nella drammatica notte del 3 maggio (quando i virologi volevano distanze più ampie per mettere fine al lockdown), ma il conflitto era emerso solo ex post. I virologi del Comitato, fra l’altro, in quell’occasione avevano avuto torto, ma pochi ci avevano fatto caso (a parte gli addetti ai lavori). Così, invece, questa volta il Cts ha giocato d’anticipo, visto che una fuga di notizie ha reso note le linee guida. Fosse stato un gesto calcolato sarebbe stato mossa abile, il senso di cui però non è sfuggito al Governo: “Provano a forzarci la mano”, diceva seccato ieri uno dei ministri interessati, ovviamente in off record, convinto che la notizia non fosse trapelata dal ministero dell’Istruzione. E a chiarire quanto sia forte il braccio di ferro lo dimostrano le interviste che da giorni il coordinatore del Comitato, Agostino Miozzo, sta rilasciando su diversi media, per difendere apertamente la linea restrittiva.

    Il punto che rende deflagrante questo conflitto, e molto determinato il Governo (che non vuole cedere il passo nel braccio di ferro mediatico-sanitario) è che oggi la chiusura della scuola sarebbe enormemente più dirompente che nella primavera scorsa. E il tema che in questo conflitto inter-istituzionale i tecnici sottovalutano è che durante il lockdown le famiglie erano quasi tutte e casa, e per di più spaventate. Mentre adesso sono al lavoro o stanno per tornare al lavoro. E il grande dilemma che passa per la testa di ogni genitore è: se mio figlio risulta positivo e mi chiamano a scuola per riprenderlo, dove lo metto? Per molti (tutti i liberi professionisti, gli esercenti o gli artigiani con minori), l’alternativa sarebbe tra smettere di lavorare o abbandonare un minore da solo. Per gli altri – i dipendenti – il contagio scatenerebbe la necessità di chiedere un permesso Covid per “motivi familiari” che oggi non viene contemplato. Ecco dunque perché molto epidemiologi pensano che la scuola sia una sorta di cavallo di Troia per imporre una sorta di lockdown leggero. Ed ecco perché cambiare le linee guida per il Governo significa evitare questo drammatico cul de sac.

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