Il mio lavoro, in queste settimane frenetiche, mi ha insegnato che quello che sta accadendo nel mondo e nel nostro paese necessita di una lettura fatta di aggiustamenti continui.
Leggi, ti informi, ascolti, chiedi e capisci che gli scenari cambiano con una rapidità sorprendente. Quello che credevi giusto 24 ore prima, oggi non lo è più. È la vera potenza destabilizzante di questa emergenza e quello che fa più paura: l’orizzonte stretto.
Nessuno, neppure gli scienziati a cui ci aggrappiamo alla ricerca di certezze, ha dimostrato di avere un parere univoco sugli scenari futuri e sulla reale gravità della situazione. Di sicuro, ho capito solo che oggi abbiamo delle enormi responsabilità individuali.
Non è più tempo di “non esageriamo, basta psicosi”. E non perché, ovviamente, abbia un senso svuotare supermercati o murarsi vivi o ritenere che moriremo tutti, ma perché ora affermare che sia colpa dei media, che bisogna ricominciare a fare la vita di prima, che “basta allarmismi” è una scemenza.
Siamo in un momento delicatissimo e dobbiamo fare un sacrificio tutti. Lo dico, e mi piange il cuore, perché so cosa vuol dire per tante persone che hanno attività da mandare avanti e non dormono la notte, ma dobbiamo limitare il più possibile la vita sociale. E con tutte le cautele possibili (io questa settimana mi sposterò solo per lavoro, se necessario).
Le attività soffrono e soffriranno, ma in definitiva, anche per il bene delle attività stesse, è meglio un periodo limitato di crisi che una crisi che durerà mesi perché non si è fatto abbastanza all’inizio.
E l’inizio, in Italia, è stato il 21 febbraio. Quella data ha cambiato le carte in tavola e ora bisogna rivedere tutto. È arrivato il momento di pensare alla collettività. È il momento del rischio ragionato e ragionevole.
Ragionare sulla scia del “vabbè male che vada mi viene un po’ di febbre ma sono giovane e in salute, mica muoio” ora è sbagliato. Perché sì, è vero che magari per noi sarà un raffreddore, ma lo passeremo a qualcuno che lo passerà a qualcun altro che lo passerà a qualcun altro e quel qualcun altro magari sarà un anziano debole o un giovane di un reparto oncologico.
Soprattutto, e questo è il tema più importante, quello che dovrebbe essere PRIORITARIO in questo momento (se è vero che il 10 per cento dei contagiati viene ricoverato in terapia intensiva) è sapere che una diffusione capillare del virus vorrà dire che a breve non ci saranno più posti nei reparti, più macchine per intubare disponibili per chi sta male, malissimo.
Sta già succedendo in alcuni ospedali del nord e nessuno di noi, suppongo, ha desiderio di scoprire cosa accadrebbe in alcune regioni del sud già in difficoltà se dovessero trovarsi a fronteggiare un’emergenza sanitaria simile.
Sapete bene quanto io mi sia spesa per convincere le persone a non spaventarsi inutilmente, a non cavalcare pregiudizi, a seguire il flusso degli avvenimenti con razionalità. Ecco, è ancora più che mai il momento della razionalità. E la razionalità, adesso, dovrebbe suggerirci non paura ma senso di responsabilità.
È cambiato tutto, il paese ha una grande prova davanti a sé, è possibile che domani saremo chiamati a fare sacrifici ancora più grandi. Adesso tocca a noi, nessuno escluso.
In fondo, se dovessimo pensare a qualcosa di positivo in questo momento, è quanto questo virus ci abbia spiegato del mondo e delle conseguenze delle azioni di tutti. È un effetto Greta all’ennesima potenza.
Ci ricordiamo, oggi, quanto quello che accade a 10mila chilometri da noi ci riguardi. Ci ricordiamo che per quanto possiamo costruire muri e sbarrare le frontiere, arriva il momento in cui la natura travolge ogni cosa e ci ricorda che siamo tutti cittadini del mondo.
Che i ghiacci che si sciolgono al Polo Nord o il virus che si diffonde in una regione della Cina di cui neppure conoscevamo il nome, sono sveglie che suonano forte e ci buttano giù dal letto.
Un virus senza darci neppure il tempo di aprire gli occhi, i cambiamenti climatici dandoci il tempo per prepararci la colazione, e non molto di più. Non so che effetto faccia a voi tutto questo. Io sento che ci sarà tanto da imparare.
Ora però si devono stringere i denti e non è giusto raccontarla e raccontarsela diversamente. Non sono giusti i video motivazionali in cui si fa finta di continuare a correre, non sono giusti quei programmi in cui si fa finta che sia tutta una schizofrenia di massa.
L’orizzonte stretto fa paura, ma più collaboreremo e prima riusciremo a guardare lontano, con il regalo – alla fine di tutto – dell’immunità più grande che il Coronavirus ci possa donare: quella dall’egoismo.