Siamo di fronte alla più grave crisi sanitaria dell’ultimo secolo. Ad oggi sabato 21 marzo la pandemia di Coronavirus ha generato nel mondo oltre 275mila casi e 11.400 decessi. Di questi, quasi 5mila sono morti in Italia. Più di uno su 3. Siamo in guerra. Molto più dell’11 settembre. Asserragliati nelle nostre case. In trincea. Muniti solo di (poche) mascherine, o almeno i più privilegiati, e niente più. Una guerra che combattiamo in solitudine, in isolamento.
Da quando tutto è scoppiato, in Italia è successo un po’ di tutto: nell’ultima settimana di febbraio un “allarmismo esagerato” (e quei ‘Non andate nei pronto soccorso’); poi è venuto il tempo del dietro-front, e allora vai giù di “Milano non si ferma, Bergamo non si ferma”, etc. (e pensa se non si fermavano davvero); e infine, nelle 24 ore tra il 9 e il 10 marzo, il pandemonio: Armageddon Italia sul serio, questa volta.
In molti, quasi a non voler vedere in faccia la realtà di una crisi davvero più grande di noi, avevano lamentato un eccessivo allarmismo, indotto da media e istituzioni. “Sciacalli, vergognatevi, state diffondendo panico quando il tutto non è poi così grave!”. Sì, come no. Ebbene, avremmo fatto volentieri a meno di quel limbo, di quel periodo di incertezza, di quell’allarmismo-non-allarmismo tra il 23 febbraio e il 9 marzo. Per paura non si è fatto niente. E si è fatto peggio.
Non scorderemo di certo ad esempio quanto avvenuto quella domenica di fine febbraio nell’ospedale di Alazano Lombardo, come ha ben documentato Francesca Nava. Quel pomeriggio, due giorni dopo lo scoppio del primo focolaio di Codogno, vengono accertati due casi positivi di Covid19 all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo. La struttura viene immediatamente “chiusa”, per poi riaprire – inspiegabilmente – alcune ore dopo. Nei giorni successivi si apprende che diversi medici e infermieri risultano contagiati. Ecco come è partito il focolaio di Bergamo, diventata lazzaretto d’Italia.
Così oggi, nel secondo giorno di primavera di questo 2020, a oltre 10 giorni dal coprifuoco, paghiamo il prezzo più caro di tutti: oltre 4mila morti. Ieri, 20 marzo, è stato il Venerdì Nero: oltre 600 decessi in un solo giorno, con la percentuale di contagi nuovamente in aumento. Nel frattempo succede più o meno di tutto e iniziano a emergere scene che documentano la tragedia in cui ci troviamo. Come in questo pronto soccorso di Bergamo, nel pezzo di Selvaggia Lucarelli sul nostro giornale: “così vengono curati i pazienti, sistemati anche nei corridoi” (qui il video).
Ed è proprio in questo momento che vorremmo sentire più spesso il nostro Presidente del Consiglio. Va detto che il governo, tutto sommato, si è finora comportato bene e ha fatto in fin dei conti quello che doveva, quello che poteva fare, sia pure fortemente trascinato dai semi-diktat dei Governatori delle Regioni più colpite. Il tutto in una crisi inaspettata e che ci ha trovati impreparati (come in parte anche normale che fosse).
Giusto non peccare di personalismi, di eccessivo tele-novela da Coronavirus, ma oggi il Governo dov’è finito? Chapeau a medici, istituzioni, regioni, governo ed enti locali per come si sta fronteggiando questa emergenza, ma proprio ora che gli italiani sembrano aver compreso (alcuni, almeno) l’antifona dello stare a casa, è necessario più che mai che uno alla volta, il Premier e suoi ministri, parlino alla nazione tutta, rinchiusa in casa a causa di un crisi di cui ancora oggi non conosciamo i limiti e la fine.
Vero anche che è spesso meglio non parlare tanto per farlo, se non si ha nulla da dire, se non si sa cosa dire e se non si conoscono le risposte alle domande che molti italiani si pongono. Ma è fondamentale che il Governo sia presente, e non nei salotti televisivi ma a reti unificate, su radio, tv, giornali online, la sera, prima di cena, dopo che gli italiani hanno passato un’altra giornata chiusi in casa, nel tentativo di trasmettere empatia, di definire il percorso che c’è da fare, sia pure ancora lungo e incerto, per entrare in sintonia con chi davanti a quell’apparecchio riesca fino in fondo a comprendere l’enorme sforzo a cui siamo chiamati a rispondere.
Il popolo è confuso. Il Governo spieghi quello che sta accadendo. Nessuno chiede garanzie e risposte certe, ma un confronto costruttivo e consapevole di quanto avviene, qualcosa che difficilmente dimenticheremo. E, a vederla cinicamente, è tra l’altro una grande opportunità politica per i governanti di oggi. Un biglietto politico assicurato per il futuro, se riusciranno a venire fuori non dico come statisti ma come bravi leader. La crisi è portatrice di momenti catastrofici, ma è anche un’opportunità per costruire una nuova narrativa.
Ad oggi Conte non parla da giorni agli italiani. Dovrebbe farlo, spiegando lo spiegabile. Parlando agli italiani. Oltre i bollettini della Protezione civile, l’unico che parla agli italiani è il buon Borrelli. Questo non è possibile, non può accadere. Certo, di tanto in tanto parla Boccia, parla questo, parla quello. Ma deve parlare Conte. E con lui il ministro Speranza. Nel giorno più buio di questa crisi, il Governo dov’era?
Nel delirio dei virologi che in questo mese e mezzo hanno detto tutto e il contrario di tutto, la voce pacata dell’Avvocato del Popolo – che stando ai sondaggi non dispiace agli italiani – sarebbe cruciale nel dirimere dubbi, sensazioni, fake news. Dia un segnale e faccia qualcosa, imponga persino la bandiera a mezz’asta per i 4.032 caduti.
Quando tutto questo finirà dovremo ridiscutere seriamente di sanità, bistrattata in modo ridicolo da tutti i governi negli ultimi decenni, come riporta in modo impeccabile questo report di Marco Revelli per il nostro giornale. Se c’è una cosa che il Coronavirus ci ha insegnato è infatti che il sistema sanitario italiano, tra i migliori al mondo per qualità, è risultato incapace di fare fronte a una crisi così inaspettata, vittima di un sistema produttivo che si basa solo sul fil di lana, sul tutto subito e sempre con l’acqua alla gola, che prevede ritmi di lavoro serratissimi e senza pause per medici e infermieri precari, senza scorte o piani B.
L’unica cosa di buono che porterà questa enorme crisi è la ridiscussione del sistema economico e politico in cui oggi viviamo. Nella politica di domani, che forse non muterà ma dovrà tenere conto di questa tragedia, la sanità pubblica tornerà prepotentemente al centro del dibattito. Strutture fatiscenti, posti di terapia intensiva al di sotto del necessario, medici e infermieri precari, mancanza di personale, e il rischio – oggi – di rimanere senza medici (come un aereo senza pilota) dovrà portarci a ridiscutere questa crisi sanitaria. Che non possiamo permetterci.
Ad oggi sono 3.654 gli operatori sanitari contagiati dal Coronavirus (il 64 per cento dei quali è donna). Età media 49 anni. Sono medici, infermieri e operatori del 118. Per l’Iss è “evidente l’elevato potenziale di trasmissione in ambito assistenziale di questo patogeno”. Questi numeri mostrano la nostra incapacità di proteggere e tutelare il nostro personale sanitario, le nostre risorse più importanti. Qui noi di TPI abbiamo pubblicato la lista aggiornata giorno dopo giorno di tutti i medici deceduti nel corso dell’epidemia di Covid-19.
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