Ci siamo trasformati nel più grande laboratorio socio-sanitario d’Europa. Siamo diventati le cavie del mondo. Non importa come, non c’era un piano preordinato, è semplicemente accaduto. Siamo i primi, siamo poveri, siamo diventati utili agli altri per capire cosa si può fare, cosa diventa socialmente sostenibile, e come, cosa no. Ci pagano anche per farlo, grazie alla flessibilità, un tempo negata, oggi annunciata addirittura da un messaggio in italiano di Ursula van Der Leyen. Stretto in questo dilemma, Giuseppe Conte ha interpretato benissimo il carattere nazionale: non ha ceduto alle pressioni più estreme dei matti e dei cacicchi, e ha chiuso tutto quello che poteva, alla faccia di chi ripete “è solo una influenza”. Ma resta salvaguardato il nocciolo duro della produzione nazionale: le fabbriche, i sistemi della distruzione, il mondo del mare che – non dimentichiamolo mai – è il nostro grande cordone ombelicale con il mercato globale. Fino a quando riuscirà a tenere questa posizione? Spero il più a lungo possibile. E perché questo possa accadere devono diminuire i contagi. Si può stare nel laboratorio delle cavie, a patto di esserne consapevoli. L’importante è uscirne vivi senza farsi ammazzare dagli apprendisti stregoni e dagli esperti della domenica.
Senza volerlo siamo diventati le cavie del mondo
Leggi anche: 1. Tutto chiuso, l’Italia si ferma: stringiamo i denti ora per tornare presto alla normalità (di Luca Telese) / 2. I servizi essenziali sono più di quelli che pensiamo: ecco perché non possiamo restare tutti a casa (di Luca Telese)
Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto