Conte e l’evasione fiscale: la lezione del premier
Il centrodestra ha inventato sull’evasione il conflitto di interessi al contrario. Ieri Vittorio Sgarbi, con la consueta ed effervescente verve provocatoria tuonava dagli schermi di PiazzaPulita contro il presidente del Consiglio: “Come è possibile che questo governo voglia colpire gli evasori con il carcere? Un governo presieduto da un presidente del Consiglio che ha un suocero condannato per aver evaso due milioni di euro di tassa di soggiorno!?”.
L’affondo di Sgarbi era spumeggiante, sarcastico e paradossale come sempre (il critico d’arte più famoso d’Italia ha ripetuto tre volte “Conte-Conte-Conte!”), e ieri è stato affiancato nell’invettiva da un paginone di Libero corredato da un titolone dello stesso tenore: “I parenti sono serpenti. il suocero di Conte condannato per evasione”. E poi questo catenaccio: “Cesare Paladino, patron di un lussuoso hotel a Roma, non versò al Comune due milioni di euro di tassa di soggiorno”. Anche nei titoli di questa prima pagina fa capolino una sulfurea battuta di Sgarbi: “Conte dia l’esempio, lo arresti!”.
E poi c’è il commento del quotidiano diretto da Pietro Senaldi e da Vittorio Feltri: “Il presidente del Consiglio ha un suocero evasore, proprio mentre straparla di manette agli evasori”.
In questa carambola di assurdo che è la politica italiana, la “denuncia” di Sgarbi veniva salutata con un applauso dal pubblico di PiazzaPulita, e l’attacco di Libero sembrava pieno di coraggio civile contro un potente in difficoltà.
Tuttavia questa posizione è tre volte priva di senso logico. In primo luogo perché le responsabilità sono sempre personali. E in secondo luogo perché finiscono di essere personali quando il conflitto di interessi rende le posizioni ambigue e omertose, condizionate dal fatto personale. In terzo luogo perché Paladino non è formalmente “suocero” di Conte.
Ma, a prescindere da questo dettaglio, sarebbe in ogni caso assai sconveniente la posizione del premier se – come è accaduto in passato – chi governa si preoccupasse di varare una legge per tutelare se stesso o i suoi cari. Se la legge che sta per approvare favorisse qualcuno che gli è notoriamente vicino, anche nel caso che non fosse parente di sangue, o parente formalmente acquisito. In questo caso – invece – mi sembra proprio che ci troviamo nella situazione opposta. Quello, cioè, di un comportamento virtuoso.
Conte si ritrova “in casa” una persona che è stata condannata per il reato su cui il suo governo si sta operando. E invece di fare quello che è troppo spesso è stato fatto fino ad oggi – favorire chi gli è caro – inasprisce le pene per la fattispecie di reato che lo coinvolge. A parte il fatto che il procedimento su Paladino è in ogni caso sopra la soglia dei 250mila euro fissata da Matteo Renzi che il governo vuole abbassare, il principio è chiaro: Conte vuole pene più severe per tutti coloro che commettono reati del tipo di quelli commessi dal “suocero” (anche se non è suocero).
Non abbiamo la possibilità di sapere quale sia il tenore dei commenti nelle tavolate di famiglia, ma l’esperienza ci dice che quando questi dialoghi entrano nella carne non sono mai facili. Nelle ore in cui una campagna martellante di politici ed opinionisti difende la cosiddetta “evasione di necessità” (che non esiste) Conte dice pubblicamente: “Su questi reati c’è il mio impegno, gli alleati lo sappiano”. Lo fa mentre una persona che conosce viene condannata per gli stessi fatti. Quindi, nel suo caso il presunto conflitto di interessi funziona, ma al contrario, visto che Conte è più severo con chi gli sta vicino che con chi gli sta lontano. Non mi sembra una colpa, anzi.