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    Come in Francia così in Italia, un solo grido: fateci vivere! (di G. Gambino)

    Di Giulio Gambino
    Pubblicato il 7 Apr. 2023 alle 01:00 Aggiornato il 13 Apr. 2023 alle 10:19

    Sono settimane che un fantasma si aggira per l’Europa agitando i sonni dei governanti europei: da Parigi a Berlino, passando per Israele, le piazze si riempiono e si infiammano. Per motivi diversi, naturalmente, ma con un minimo comune denominatore. E cioè la richiesta, da parte dei cittadini, di essere ascoltati e inclusi nelle decisioni che riguardando le loro vite.

    In Francia, ad esempio, i manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron scavalcando il Parlamento, che ha comportato l’innalzamento dell’età pensionabile dagli attuali 62 ai 64 anni di età. Ad essere maggiormente colpiti dalla riforma in questione sono i lavoratori della classe media, quelli delle fasce più povere o appartenenti alle cosiddette categorie usuranti.

    Mentre Parigi brucia, noi italiani, che in pensione andiamo a 67 anni a causa della riforma Fornero del 2011, assistiamo sconcertati e inerti alle contestazioni francesi, frustrati per aver accettato passivamente una riforma che, dall’oggi al domani, ci ha costretti a restare incollati anni in più alle nostre scrivanie.

    Non tutto, però, è ancora perduto. Un segnale incoraggiante lo offrono rispettivamente i fenomeni delle Grandi dimissioni (oltre 1,6 milioni le persone che si sono dimesse in Italia solo nei primi nove mesi del 2022) e del “quiet quitting”, vale a dire lavorare il minimo indispensabile per godere appieno della socialità che mai dal Dopoguerra a oggi era stata messa così in discussione.

    Eppure questi due movimenti dal basso, alimentati da nessuno se non dai diretti interessati, costituiscono più di un indizio per chi governa e detiene il potere, non fosse altro per ottenere maggior consenso: esiste infatti, in Italia come nel resto d’Europa, un sentimento diffuso di malessere, riconducibile a un’intera generazione che è pronta a mettere in discussione e persino a rinunciare all’idea di un futuro stabile in cambio della necessità esistenziale di trovare un senso nell’impegno presente.

    E proprio per questo non ha timore a rifiutare lavori che, indipendentemente dal corrispettivo economico, impediscano ad essa di vivere in modo consapevole e completo.

    Si tratta della lucida e silenziosa rivolta dei figli contro i padri, che diventa sempre più evidente sui luoghi di lavoro.

    Se i boomer, come le cavallette, hanno occupato tutti i posti di potere facendo carriere per anzianità, noi millennials, al contrario, lasciamo e vediamo volentieri il passo poiché sempre meno disposti ad accettare un lavoro totalizzante privo di senso e fine a se stesso.

    Aggiungete anche che molto spesso quell’impiego non permette a quasi nessuno di sentirsi responsabilizzato e realizzato, meno che mai di accedere alla richiesta di un mutuo per comprare un primo immobile.

    Insomma, vale la pena «accettare di campare con poco ma non fare lavori impegnativi per molte ore al giorno per avere un gruzzoletto rispettabile»? (Briatore dixit).

    La risposta, evidentemente, per molte di queste persone è sì. Vale la pena. «Vogliono altro», ha concluso l’ex manager di Formula Uno.

    Se ci è arrivato persino lui, forse, dovrebbe poterci arrivare anche questo pessimo governo di destra, il quale ritiene di essere per vocazione vicino al popolo. Prima gli italiani, appunto.

    Le proteste di queste settimane attengono alla vita (bene supremo) e a un modello socio-economico ormai divenuto insostenibile.

    Papa Francesco, uno dei riferimenti dei giovani degli anni Venti del Terzo millennio, ha recentemente parlato del nesso tra meritocrazia (la stella polare dell’ideologia ultraliberista) e disuguaglianze (una delle parole chiave del nuovo ordine mondiale). L’una non può andare a scapito dell’altra.

    Siamo cresciuti in questa società, maturando una consapevolezza più lucida e più profonda di quanto queste dinamiche possano essere opprimenti, dove il fallimento viene vissuto come un vero incubo generazionale.

    A Parigi gridano che il lavoro non è tutto nella vita, e che la pensione a 60 anni è già tardi. Giusto. Fateci vivere!

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