Claudio Marchisio, nuova icona social della sinistra: dai curdi ai diritti Lgbt
“‘Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini…’, questo scriveva Anna Frank nel suo diario, nel 1942. Oggi, 77 anni dopo, è iniziato il bombardamento della Turchia contro i Curdi in Siria. Una vergogna per tutta la comunità internazionale. Sentiamoci pure responsabili per ogni vittima”. A scrivere questo post, ieri, giovedì 10 ottobre, sui suoi profili social, non è stato un politico, né uno scrittore, un pensatore, un filosofo o un intellettuale. Che ci crediate o meno, queste parole le ha scritte un calciatore.
Da pochi giorni un ex calciatore. Non uno qualsiasi. Uno che è stato capitano della Juventus e, per almeno un lustro, titolare fisso della Nazionale italiana. Il suo nome è Claudio, di cognome fa Marchisio. E per capire chi è davvero e dove nasce questo post, diventato in breve virale, occorre fare almeno tre salti a ritroso nel tempo.
L’ultima stagione calcistica, allo Zenit di San Pietroburgo, è stata la più lunga, difficile, dolorosa e illuminante della carriera di Claudio Marchisio. I numeri dicono molto, ma non tutto: 15 partite giocate, 2 gol segnati, 148 foto pubblicate su Instagram. Claudio in campo è un “vecchio” atleta che lotta contro un corpo che a 33 anni ha smesso di assisterlo, a un’età (e in un’epoca) in cui la maggior parte dei suoi colleghi sono ancora all’apice della forma.
Fuori è un uomo risolto, intelligente, colto, maturo, che legge saggi e romanzi, visita musei e luoghi d’arte, esplora le meraviglie dell’ex capitale zarista, quando parla o concede un’intervista non è mai banale. E, soprattutto, fa Politica. Quella con la P maiuscola. Prende posizione. Sempre. Anche quando non è comodo o conveniente e su temi che non ti attenderesti di vedere uscire dalla bocca di un giocatore di calcio: migranti, clima, ambiente, diritti Lgbt, le lotte sindacali dei pastori sardi.
Gli ultimi mesi a San Pietroburgo sono la fotografia esatta – e, in qualche modo, un antipasto – della seconda vita del “Principino”: un neo nell’universo banale, ipocrita, convenzionale e iper-standardizzato del calcio italiano e mondiale. Non è un caso se, meno di tre mesi dopo, Claudio Marchisio in una conferenza stampa affollata a Torino pronuncia le sue ultime parole da calciatore.
“Avevo fatto una promessa al bambino che sognava di diventare un calciatore. Avrei continuato a giocare fino a quando, mettendo piede in campo, avessi sentito la meraviglia del sogno che si stava avverando. Negli ultimi mesi ho vissuto un contrasto tra mente e cuore e ho capito che stavo venendo meno alla mia promessa. Ci sono momenti in cui è giusto che il cuore prevalga sulla mente, per questo preferisco fermarmi.Lo faccio senza ripensamenti, insieme alla mia famiglia, che mi ha insegnato a guardare al futuro con curiosità, senza timore. E allora grazie sogno! Perché mi hai dato forza, coraggio, successo e soprattutto mi hai reso felice!”.
Sembra la fine, e invece è solo l’inizio. O, meglio, l’inizio ufficiale di un’avventura umana che era cominciata due anni e mezzo prima, quasi per caso, il 24 marzo 2017, pochi giorni prima della finale di Champions League col Real Madrid, quando un’imbarcazione carica di migranti si rovescia al largo della Libia: 34 i morti, tra cui anche diversi bambini. Claudio legge e si sfoga su Instagram: “Viaggi della speranza che finiscono in tragedia per molte persone! Ancora corpi senza vita nel Mediterraneo. Come sta cambiando il mondo?” .
È la prima volta che Marchisio prende una posizione così forte e netta sui social, e le reazioni non tardano ad arrivare. In un florilegio di commenti entusiasti, arrivano anche le critiche, alcune pesantissime, cariche d’odio: “Pensa alla Champions che è più importante di questi 4 monnezzari”.
Il 20 giugno del 2018, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, compare in una foto in bianco e nero con un cartello dell’Unhcr in mano e un hashtag, #withrefugees, accompagnato da un breve testo: “E tu da che parte stai?”. Anche in quel caso fioccano le reazioni positive, in mezzo all’immancabile vomito delle “bestie”. Claudio alza le spalle e tira dritto.
Pochi mesi dopo dal Kenya arriva la notizia del rapimento della cooperante milanese Silvia Romano e il “Principino” le dedica un pensiero commovente: “La nostra meglio gioventù che ci riempie d’orgoglio il cui esempio vola sopra la tristezza dei pidocchi che la criticano”, scrive. Non è difficile, in questa frase, scorgere una frecciata anche ai suoi hater, che crescono di post in post e cominciano a prenderlo di mira.
Più il corpo di Marchisio invia segnali di cedimento, più l’impegno politico di Claudio si fa costante, rigoroso, diffuso: dai diritti della comunità Lgbt, di cui è un’icona planetaria, alle battaglie per il latte dei pastori sardi, dal sostegno a Slow Food all’ambiente, alla lotta contro il surriscaldamento globale, con un chiodo fisso che lo tormenta e ritorna sempre: i migranti. Non solo la rotta del Mediterraneo, ma anche la frontiera americana.
Quando, nel giugno scorso, fa il giro del mondo la foto di un padre e figlio morti annegati nel Rio Grande avvinghiati nella stessa maglia slabbrata, il “Principino” perde il suo aplomb ed esplode: “Ma da cosa c**** ci stiamo proteggendo?”. Nel frattempo legge e consiglia Jonh Krakauer, si avvicina sempre di più agli ambienti colti e sofisticati della moda e della cultura, che frequenta con insospettabile naturalezza, senza mai perdere di vista i diritti dei disperati, dei derelitti, degli ultimi tra gli ultimi. Diventando sempre più un influencer sui social e attirando inevitabili critiche, in un crescendo di intolleranza e offese.
Lui, papà, se ne fa una ragione. “Devo insegnare ai miei figli solo a tirare calci a un pallone? Forse ho solo un po’ di coraggio: sono consapevole di espormi a commenti feroci, però dico la mia. Vedo che l’infelicità si sta trasformando in odio ed è pericoloso che la politica solletichi certi timori”. E siamo a due giorni fa, quando Marchisio si schiera apertamente – con parole durissime – dalla parte del popolo curdo e contro l’indifferenza della comunità internazionale nei confronti di Erdogan e dell’invasione turca.
Per chi non lo conosce, è una sorpresa. Per chi da anni lo segue sui social non è altro che l’ennesima conferma di un uomo e un libero pensatore impossibile da etichettare con i criteri e i parametri della politica tradizionale. Politico senza essere partitico. Idealista (perché no) senza essere ideologico. Mai una polemica gratuita. Mai un attacco o un riferimento diretto a questo o a quel leader. Mai una frase fuori posto. Mai una scorciatoia per acchiappare facili like. Anzi, paradossalmente Marchisio funziona sui social proprio perché rifiuta apparentemente ogni strategia.
Mentre il calcio italiano ha appena perso uno dei migliori centrocampisti degli ultimi vent’anni, la politica – e la sinistra, in particolare – ha una nuova icona: giovane, sincera, pulita, coerente, credibile in ogni sua esposizione mediatica, in grado di rovesciare in poche righe tabù e stereotipi che nel mondo del calcio sono considerati muri invalicabili. Ma, soprattutto, nuovo. E di questi tempi sembra un miracolo.
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