Come spiega lo stesso autore, il titolo dell’ultimo libro di Tomaso Montanari, ossia Chiese chiuse (Einaudi), viene da lontano. Alla sua origine stanno infatti un paio di volumi usciti entrambi nel 2020 e intitolati rispettivamente Chiese abbandonate di Francis Meslet e Guida alle chiese “chiuse” di Venezia di Sara Marini, Micol Roversi Monaco e Elisa Monaci. Eppure, la differenza tra questi due testi e lo scritto di Montanari non potrebbe essere maggiore.
Assistiamo infatti al passaggio dal genere del saggio di denuncia a una sorta di vera e propria operetta morale. Certo, anche quello di Montanari è un libro documentato e volto ad accusare lo stato di desolazione in cui versano oggi nel nostro Paese migliaia di monumenti sacri. Tuttavia nelle sue pagine circolano uno sdegno e una compassione che ne fanno un esempio di letteratura civile. Penso al capitolo in cui si parla del «martirio» delle antiche chiese italiane.
Al di là della spaventosa situazione di Napoli, lo studioso rievoca il crollo di San Giuseppe dei Falegnami a Roma, sui Fori imperiali, inorridendo di fronte alle domande dei cronisti: quali capolavori sono andati distrutti? A quanto ammontano i danni? La gravità di questa perdita, ribatte, non si misura con i nomi degli artisti da “grande mostra”, né con quotazioni da asta internazionale. Quella piccola chiesa non era solo una ricca location per l’industria dei matrimoni religiosi: era anche, e soprattutto, «una cellula del nostro volto collettivo», «un brandello del tessuto, unico al mondo, che chiamiamo Italia», «non un occhio, non il naso o la bocca del volto di Roma, ma un suo piccolo lembo di pelle».
Da anni Montanari si batte contro lo smantellamento delle soprintendenze, perseguito sistematicamente da una politica immemore del bene comune. Da anni polemizza contro l’aggressione agli spazi pubblici delle città storiche perpetrata da interessi privati. Da anni critica la monetizzazione del patrimonio artistico.
Questo libro, però, trasmette un pathos davvero irresistibile, grazie anche alle preziose citazioni di uomini come Pietro Calamandrei, Benedetto Croce, Lorenzo Milani, giganti che vegliarono sulla nostra tradizione con uno spirito libero, laico, disinteressato. Già autore, con Vincenzo Trione, del libello Contro le mostre (Einaudi), Montanari ribadisce qui le sue posizioni sottolineando l’importanza di tutelare l’integrità del nostro lascito culturale.
Lo si vede da questo amaro racconto: «Mi è capitato di suggerire a più di un ragazzo desideroso di studiare la storia dell’arte, ma prima ansioso di mettere alla prova quella vocazione, di risalire la Penisola in una sorta di Via Dolorosa che si snodi attraverso le chiese in rovina: se alla fine di quel pellegrinaggio avrà ancora voglia di diventare un curatore di mostre o un promotore di eventi, sarà meglio per tutti che rinunci».
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