Forse nel diario di questa crisi, questa data del 12 agosto dovrà essere impressa a lettere di fuoco come un punto di svolta. Un punto di incrocio, un chiasmo in cui le due linee divergenti della destra e della sinistra si sono incrociate nel segno del paradosso. Da ieri in Italia c’è un rischio di un nuovo 1948 e provo a spiegare perché. Ricapitoliamo quindi i fatti di giornata. Nel giorno in cui il calendario della crisi e la tempistica sul quando andare a votare e la scelta degli uffici di presidenza diventano decisivi, Matteo Salvini fa cadere la sua ultima e più importante pregiudiziale: apre politicamente le porte, cioè, all’accordo con Fratelli d’Italia e a Forza Italia. E Silvio Berlusconi mette la su ciliegina: “Facciamo l’alleanza dei sì”.
Che poi sarebbe il vecchio centrodestra più qualche sindaco e qualche madamina. Questo processo ricostruisce virtualmente il centrodestra, dopo che per un anno, negli ultimi mesi, e persino negli ultimi giorni, la sua strategia è stata totalmente opposta. Ancora dalla piazza della Puglia 48ore fa Matteo Salvini aveva detto: “Corriamo da soli, soli! Magari poi troveremo qualche compagno di strada, ma corriamo soli”.
Cosa ha cambiato questa strategia? Fino a ieri l’obiettivo di Salvini era fare le scarpe a Berlusconi, seppellirlo politicamente, e mantenere leggermente a distanza la Meloni (malgrado il suo popolo la invocasse in ogni piazza). E invece primum vincere, e adesso la Lega si ritrova in battaglia con i suoi alleati. Si ritrova a fare di necessità virtù in un passaggio difficile, in cui Salvini sente che per vincere tutto è necessario, anche mettere nel cassetto i vecchi rancori. Da sola la Lega potrebbe forse fare dei buoni numeri, ma sarebbe stata completamente isolata e accerchiata, a partire dall’ufficio di presidenza. Così, senza averlo programmato, per necessità e opportunità Salvini rinuncia al sogno dell’autarchia e accetta di farsi cardine di una alleanza che sulla carta può contare sul 50 per cento dei consensi.
Guardate a sinistra, invece: nel giorno in cui il centrodestra si riunisce e costruisce le condizioni virtuali per fare cappotto, cosa fanno nel Pd? Ma guarda che novità: litigano. Ma litigano, per giunta, nel modo più folle che si possa immaginare. Dovrebbero essere lì, raccogliere al balzo la palla lanciata da Beppe Grillo, e seppellire (anche loro) i vecchi e reciproci rancori che li separano dai Cinquestelle. Distanze che, se si ragionasse sui contenuti, non sarebbero nulla: e invece sono lì ad aprire una guerra interna devastante e incomprensibile. La loro lingua di posizionamento è puro ostrogoto. Aramaico. Antico egizio.
Su che cosa si sta dividendo il Pd? Impossibile saperlo. Sì, perché, se uno fosse stato, come dire, attento fino a sabato scorso, e poi si fosse messo in viaggio su una macchina come gli italiani normali, adesso si ricorderebbe che c’era un uomo ferocemente contrario all’alleanza con i Cinque Stelle, (Matteo Renzi), e invece c’è n’era un altro moderatamente favorevole, sempre nel Pd, che si chiama Nicola Zingaretti. Infatti il vice di Zingaretti alla regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, è favorevole a un’alleanza di lungo periodo, e il principale consigliere di Zingaretti, il suo mentore, il suo padre spirituale, che si chiama Goffredo Bettini, ha scritto persino un articolo su HuffingtonPost dalla Thailandia dicendo che serve “un accordo di lungo respiro” (ovvero un governo politica di legislatura Pd-M5s). E in sintesi: Renzi era quello contrario e Zingaretti quello favorevole. Ora su che cosa sta prendendo corpo questo principio di scissione dentro il Partito democratico? Sul fatto che Zingaretti è contrario all’accordo e ribadisce di essere contrario ad ogni accordo e sul fatto che Renzi dice facciamo un governino, e spiega che va fatto.
Tutti i dirigenti del Pd ripetono che “non ci sono le condizioni” per dialogare con i Grillini, per le vecchie ruggini, proprio loro che si sono accodati con Angelino Alfano (quello che li definiva “comunisti”) senza colpo ferire. Ma in realtà è evidente che questa situazione non può tenere. Ed è evidente che nel momento in cui il centrodestra si riunisce, anche tutte quelle diverse anime che oggi solo fuori dal centrodestra dovrebbero fare uno sforzo per dialogare sui punti di convergenza e trovare uno spirito di unità. Altrimenti saranno spazzati tutti via e Salvini si prenderà il paese in mano senza colpo ferire.
Perché queste elezioni, con questa nuova alleanza a destra, diventano davvero un nuovo 1948. Da un lato la destra, dall’altro il centrosinistra (o come si chiama oggi), divisi dal M5s, in tutti i collegi uninominali. E invece, da un lato c’è uno schieramento enorme e coeso ideologicamente compatibile, e dall’altro c’è un’armata Brancaleone litigiosa pronta all’ennesima scissione. Gli ex rivoluzionari sconcertati – i Cinque Stelle – e i vecchi riformatori senza passione – il Pd -, che non riescono neanche a parlarsi, neanche una volta, e dovrebbero fare un governo, dovrebbero mettere insieme i propri saperi e i propri valori – ma questo lo abbiamo già detto altre volte – e invece sono tutti presi dentro le loro incomprensibili dinamiche interne.
Il Pd pensa a se stesso e al suo ombelico e non pensa al paese. Dimentica totalmente la lezione togliattiana della Svolta di Salerno che portò il Pci ad allearsi persino con i monarchici, nell’interesse delle istituzioni e della nazione. Ieri parlavo con un importante dirigente, uno dei più intelligenti, e mi diceva: “Ma capisci che Nicola non può cedere a Matteo…”. E parlavo con un altro, ancora più importante, in questi anni, che mi spiegava: “Ma capisci che io fino a ieri dicevo…”. Razionali, ma autoreferenziali. Ossessionati gli uni dagli altri. Fedeli ad uno stolto principio di coerenza, dopo aver sbagliato tutte le scelte strategiche degli ultimi anni, dopo aver spalancato le porte del governo a Salvini un anno fa (era arrivato terzo), adesso continuano come se nulla fosse. Non si sono ancora seduti a un tavolo e già pongono condizioni.
Quindi segnate questa data, perché oggi è veramente un giorno importante per il centrodestra. Ed è veramente il punto più basso che il centrosinistra potesse toccare nella sua incredibile e involuta spirale autodistruttiva. Diceva Antonio Gramsci, in quel 1919 che, come dice Antonio Scurati nel suo “M”, assomiglia molto a questo 2019: “Ci sono momenti in cui le classi dirigenti fondono senza rimedio”. E noi siamo nel pieno di questo vortice.
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