Cancellare John Lennon, come decapitare le statue di Cristoforo Colombo. Ieri ho fatto a Susanna Ceccardi, candidata presidente della Lega alla guida del consiglio regionale della Toscana una semplice domanda: “Lei direbbe, ancora oggi, che i bambini del suo comune a scuola non dovrebbero cantare ‘Imagine’ di John Lennon?”. Lei mi ha risposto molto sicura: “Sì, senza dubbio. Lei ha sentito il testo di quella canzone? Si tratta di un inno marxista, in cui si auspica un mondo senza religioni e senza proprietà privata”. Ovviamente sono rimasto di stucco. Pensavo che la mia domanda, basata su una polemica di gioventù della Ceccardi (quando lei era ancora consigliera di opposizione nel suo comune, a Cascina) avrebbe spinto l’ex sindaca prescelta da Salvini per guidare il centrodestra a dissociarsi da quella se stessa, e a cogliere questa opportunità – dunque – come un passaggio di crescita dalla Susanna “di protesta” a quella “di governo”.
Fra l’altro, solo pochi secondi prima la candidata della Lega, a “In Onda”, si era descritta da sola dicendo: “Sono nata nel 1987, ho 33 anni, vengo da una famiglia comunista, sono convinta che le grandi ideologie del novecento non esistano più. Non esistono più né la vecchia destra, né la vecchia sinistra”. Tuttavia solo pochi attimi dopo, nella sua invettiva postuma contro “Imagine” (e questo mi ha colpito non poco, perché né Matteo Salvini, né Lucia Borgonzoni avrebbero mai detto nulla di simile) la Ceccardi trattava la più famosa canzone pacifista della storia contemporanea come un inno sovietico. Curioso.
Se non altro perché “Imagine” sta nelle raccolte di accordi di ogni pattuglia scout d’Italia, “Imagine” sta nelle parrocchie, nella cultura pop, nella storia del rock, senza barriere e senza censure. “Imagine” è diventata la cover di artisti di ogni segno e colore che hanno reinterpretato il pezzo facendolo diventare proprio: parliamo di Madonna, Stevie Wonder, Joan Baez, Lady Gaga, Elton John, Queen, David Bowie, Diana Ross e Avril Lavigne. Emeli Sandé ne ha inciso una cover per la cerimonia di chiusura dei Giochi della XXX Olimpiade nell’agosto 2012, l’evento più ecumenico e meno ideologico che si potesse immaginare. Possibile che solo alla candidata leghista non sia sfuggita a pericolosità recondita di questa sovversiva canzone?
Quei versi che hanno turbato l’ex sindaca leghista (“Immaginate che non ci siano patrie/Non è difficile farlo/Nulla per cui uccidere o morire/ Ed anche alcuna religione/ Immaginate tutta la gente/ Che vive la vita in pace”) sono interpretati e capiti da tutti, nel contesto in cui sono nati: Lennon e Yoko Ono nudi contro la guerra, impegnati in tutti i sit in per la pace e – soprattutto – siamo nel 1971 – promotori della campagna contro la guerra del Vietnam. La fine delle barriere e delle identità nemiche di cui parlava Lennon in quegli anni insanguinati, in cui la foto di una bambina bruciata dal Napalm poteva fare il giro del mondo e turbare i nostri sogni, era una pace non-ideologica. Esattamente quella che la Ceccardi invocava pochi istanti prima.
Ma curiosamente, quando poi arriva l’inno alla non violenza che ha sedotto persone di ogni idea politica, la “Post-ideologica” Susanna, diventa improvvisamente custode di una ideologia, e prova a leggere il Lennon del 1971, con gli occhi della destra del 2020. Ed ecco che invece di un inno irenico, usando queste particolari orecchie, la Ceccardi viene turbata dalle parole “contro la proprietà privata”, e “contro la religione”. A questo punto ti verrebbe voglia di dirle che deve studiare i Beatles, i figli dei fiori, le cartoline di precetto bruciate, che deve leggere i poeti della beat generation (o almeno sapere cosa sono) vedere “Fragole e sangue” e “Apocalypse now”. Ma l’elenco sarebbe infinito: senza saperlo, insomma, la Ceccardi ha trattato Lennon come quelli che non le piacciono trattano Cristoforo Colombo (decapitando le sue statue) e Winston Churchill (dandogli del razzista). Ha provato a leggere Lennon e quello che ha rappresentato “Imagine” senza collocarlo nella storia. E dunque senza poterlo capire.
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