Il caso dei camici di Fontana insegna: serve più trasparenza nelle partecipate
È possibile che un imprenditore non sappia la sua società ha vinto un appalto, peraltro senza gara, e quindi con negoziazione, con la Regione? Dalla vicenda raccontata da Report, sembra proprio di sì. Il caso è noto: l’azienda di Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, si vede aggiudicata un appalto per camici ospedalieri. Report inizia ad indagare sollevando un problema di possibile inopportunità dell’incarico, la società di Dini invia una mail alla partecipata che aveva curato l’incarico (Aria Lombardia) e comunica la volontà di donare i camici, procedendo ad emettere delle note di credito e rimborsi. La ragione dichiarata a Report è: “Non sapevo che la mia società avesse negoziato questo incarico”.
Sebbene sembri impossibile, in realtà, il caso potrebbe essere più vicino alla realtà di quanto pensiamo, ed è questo il problema. In Italia il sistema di comunicazione dei dati delle società partecipate è deficitario e poco trasparente. Nonostante la legge 190 del 2012 sulla corruzione prescriva la necessità di rendere trasparenti e accessibili i dati degli appalti e delle spese degli enti riconducibili alla PA, questo, di fatto, non avviene. Oggi chi desidera accedere a informazioni di spesa delle partecipate si trova di fronte a dati irraggiungibili, posizionati su PDF o file XML, i siti internet si sovraccaricano in pochi secondi e si bloccano.
Non solo, i file PDF non permettono di aggregare i dati, filtrarli e poter attivare operazioni di calcolo (banalmente somme o medie), mentre gli XML sono file di database abbastanza complicati e non possono essere aperti con software comuni. Le società partecipate, venendo riconosciuti a tutti gli effetti come enti pubblici, avrebbero il dovere di sottostare alla stessa normativa di Comuni e Regioni, ma anche questo, di fatto, non accade mai. Trattandosi di strutture di diritto privato, più flessibili, sempre più spesso fungono da agenzia di spesa per Comuni e Regioni che desiderano effettuare un acquisto o assegnare un incarico in maniera semplificata e, possibilmente, in deroga alle norme della PA, che prevedono concorsi e appalti.
C’è però un problema: le partecipate sono finanziate da Comuni e Regioni (anche se possono operare per una certa soglia sul mercato) e quindi adoperano quasi esclusivamente fondi pubblici. La mancanza di accessibilità al dato ha una pericolosa conseguenza: l’incapacità di trasferire informazioni che permettano ai cittadini di costruire una posizione consapevole rispetto alla gestione di tali fondi. Non si sa quanto o come viene speso, e quindi, non si sa come stanno lavorando gli organi preposti al controllo di questi enti. La mancanza di accesso ai dati non permette infine di individuare le best practice nell’ambito delle partecipate, che permetterebbero di dare il giusto riconoscimento agli amministratori virtuosi di tutta Italia.
Per ovviare ad uno dei problemi che derivano da questa condizione, come l’impossibilità per le imprese di capire se possono essere competitive o meno nelle gare di appalto, sono nate diverse società tecnologiche che forniscono a pagamento accessi ai dati degli appalti, rielaborati con sofisticati meccanismi di machine learning. Una di queste è ContrattiPubblici.org. Nell’ambito noprofit, sta nascendo invece l’Operazione Vetro, un’iniziativa open access portata avanti da volontari di tutta Italia per aiutare i cittadini a convertire i file XML e a dare indicazioni su come individuare anomalie e pattern nei dati di spesa.
In mancanza di una nuova normativa che obblighi le partecipate a fornire dati aggregabili sui propri siti internet, l’unica azione che possono compiere i cittadini è informarsi, rivendicando il proprio diritto alla conoscenza e – se necessario – all’ottenimento di dati e atti pubblici. La trasparenza è lo strumento che permette il reale funzionamento della democrazia e senza di essa le porte degli enti pubblici resteranno sempre, inevitabilmente, chiuse.
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