Ero alla Festa de l’Unità di Modena l’anno scorso quando Giuseppe Conte organizzò la sua iniziativa in una sera di metà settembre. In quell’Emilia rossa, a una festa nazionale del Pd intitolata “Bella Ciao”, mi sembrò di assistere all’arrivo di un leader della sinistra, di quelli di un tempo che oggi non ci sono più, con il pubblico a destra e a sinistra a fare un serpentone e lui in mezzo a scambiare sorrisi, facendosi spazio per oltre 100 metri di corridoio e di applausi.
Quella sera era “il nostro presidente”, e si attendeva il discorso con il solo intento di battere le mani e manifestare affezione. È stata una delle iniziative più partecipate di quella festa e la sala centrale – posizionata a fianco allo stand della mostra che raccontava la storia del Partito Comunista Italiano, delle lotte dei braccianti e di Berlinguer – quella sera fu particolarmente affollata non solo dal ceto politico ma anche da cittadini e compagni.
Viviamo tempi liquidi, in cui la forza mediatica è pari alla forza delle idee, e il popolo di sinistra può passare in pochi anni da Bersani a Renzi, da Renzi a Conte. Quanto la figura di Giuseppe Conte abbia sedotto l’immaginario collettivo della sinistra dell’Italia degli ultimi anni, quale persona capace di raggiungere quei cittadini, lavoratori, giovani, donne, disoccupati, e quelle periferie che i leader del partito da decenni non riescono più a sedurre, lo possiamo vedere in tutte le pagine Facebook e interviste sui giornali di questi giorni.
Alcune piuttosto fantasiose e un po’ sopra le righe, come quelle in cui illustri giornalisti e uomini di spettacolo avanzano l’idea di un ticket tra Bersani e Conte, come se un partito potesse nascere da un post di Facebook da 100mila like. Da alcune pagine di esponenti del Pd si avanza la speranza di vedere in Conte l’incarnazione del nuovo leader capace di sconfiggere le destre, colui che ha tutti i numeri e le qualità per riuscire dove tanti segretari del Partito democratico e dei partiti della sinistra italiana hanno fallito negli ultimi anni.
Forse qualcuno dovrebbe chiedersi perché il Pd e la sinistra non riescano ad approfittare del vuoto di potere, ormai perdurante, del M5S. Stessa dinamica che interessò e contribuì a erodere, al contrario, il consenso del Pd nel 2018.
Probabilmente il Pd è governato da un’armistizio e si evitano in maniera scientifica le figure carismatiche al potere. Ma questa è una storia che conosciamo bene, ed è per tali motivi che, gioco-forza, questa figura viene di frequente cercata all’esterno.
Possiamo dire che il dialogo più costruttivo di Conte è stato finora con il Partito democratico? Mi sembra lampante e sotto gli occhi di tutti: si veda il rapporto tra Conte e Bettini o lo stesso Zingaretti. Una collaborazione più leale di quanto non sia stata con il Movimento 5 Stelle.
Questo è il paradosso: benché l’avvocato del popolo sia stato l’unica espressione di governo del movimento che ha preso il 32% alle ultime elezioni nazionali, oggi il suo più affine supporter sembra essere un altro soggetto politico.
Non solo, l’altro dato lampante è che questo binomio è ad ora l’unico argine al governo delle destre. La chiave di volta sta nel fatto che Conte catalizza nelle sue parole e nella sua azione politica il grande campo progressista tante volte auspicato dai leader della sinistra, esclude dal suo perimetro la parte riformista e renziana del Pd, così come le reminiscenze di destra ancora rimanenti nei Cinque Stelle, tenendo invece al suo interno la sinistra del movimento e quella del Partito democratico.
Il vero problema è che il Pd, così come parte della sinistra e degli stessi M5S scontano un peccato originale: il potere. Sanno che c’è una figura – quella di Mario Draghi – che seduce segretari e vicesegretari, Letta compreso, e che impedisce ormai da tempo qualsiasi dibattito verso un ritorno della politica, a favore di una credibilità internazionale che nessuno può mettere in discussione.
D’altronde, soprattutto nel Pd, che è padre dell’attuale governo, la realpolitik dei posizionamenti regna incontrastata e così siamo al solito balletto delle strategie, dove tutti attendono la mossa suicida dell’altro e nulla accade.
Forse a Conte converrebbe lavorare per un soggetto politico fuori dal ceto degli eletti, teso invece a rinsaldare il suo legame con il popolo, evitando qualsiasi nomenclatura e stakeholder di riferimento, perché, come è accaduto nei Cinque Stelle, al primo momento gli si rivolterebbero contro. Direi che può bastare con i collage e le foto su Facebook, i ticket, gli assembramenti e le file di politici in cerca d’autore. Come diceva quel film: “Fate la rivoluzione senza di noi”.
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