“Da romanista manderei tutto a monte…”. È bastata questa battuta un po’ infelice del direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, Gianni Rezza, a scatenare l’ennesima ridicola polemica dell’italietta intorno alle vicende del mondo del pallone. Nel giro di pochi minuti sui social si era già scatenato l’inferno, mentre a stretto giro le agenzie di stampa ribattevano la reazione piccata di Arturo Diaconale, portavoce della Lazio: “Alle volte il tifo colpisce anche gli scienziati e dà alla testa. Scienziati che sarebbero molto più utili se invece di occuparsi di queste cose trovassero un modo per fronteggiare efficacemente il virus”, ha dichiarato.
È vero: Rezza avrebbe potuto evitare di ironizzare durante una conferenza stampa in Protezione Civile in cui si annunciavano i 20.000 morti per Coronavirus, ma lui di mestiere fa appunto lo scienziato, non il comunicatore. E alla domanda sulla possibile ripartenza del campionato di calcio la risposta da addetto ai lavori, al netto di quella battuta forse fuori luogo, l’aveva già data: “Se dovessi dare un parere tecnico – aveva spiegato – non lo darei favorevole e credo che il Comitato tecnico scientifico sia d’accordo. Poi sarà la politica a decidere. Il calcio è uno sport che implica un contatto e quindi un certo rischio di trasmissione”.
È chiaro che lo stop del campionati non è solo un problema che riguarda le società, i loro presidenti o i famigerati calciatori miliardari: intorno ad essi c’è un enorme indotto più o meno visibile che va dalle televisioni ai giornali passando per magazzinieri, addetti alla sicurezza e decine di migliaia di lavoratori che non percepiscono certo stipendi d’oro e che ora vivono nell’incertezza. È altrettanto chiaro che in questo momento delicato in cui milioni di italiani vivono segregati nelle case quei novanta minuti sarebbero un passatempo più che gradito, per molti quasi una boccata d’ossigeno.
Tuttavia, come in tutti gli altri settori colpiti dal lockdown, anche per le aziende del circo calcistico la salute dei lavoratori deve venire prima del profitto. E non sta scritto da nessuna parte che un Cristiano Ronaldo, “colpevole” di esser diventato miliardario tirando calci a un pallone, debba rischiare di finire intubato in una terapia intensiva più di un operaio di Mirafiori, così come non deve rischiare di finirci il massaggiatore che gli scioglie i muscoli tra il primo e il secondo tempo della partita, il dipendente della società delle pulizie che sterilizza lo spogliatoio, i cameraman, i raccattapalle, Diletta Leotta e così via.
In fondo, a dar ragione a Rezza, ci ha pensato uno che al profitto ci tiene molto, forse anche troppo: “ha ragione il professor Rezza – ha detto Urbano Cairo, presidente del Torino e di Rcs – riprendere a giocare il campionato a fine maggio è impossibile. Oggi ha parlato un uomo di scienza, e ha detto una cosa che io sostengo da tempo semplicemente perché ho una certa dimestichezza con i numeri. Con la situazione attuale, non esiste pensare a giocare tra un mese e mezzo. Purtroppo. E sottolineo il purtroppo, visto che oltre al Torino ho la Gazzetta dello Sport e dunque avrei interesse a che si riprendesse, per motivi evidenti”. Insomma, probabilmente resteremo un bel po’ senza pallone, senza i gol, senza le polemiche sugli arbitri e sui i cori razzisti negli stadi. Non è il caso farne l’ennesimo psicodramma: appena sarà possibile e si potrà riprendere in sicurezza “panem et circenses” non si negherà a nessuno.