Joe Biden, anzi Joseph Robinette Biden jr, giura solennemente, con la mano sulla Bibbia tenuta dalla moglie Jill, di fronte al presidente della Corte Suprema John Roberts, e diviene ufficialmente il 46° presidente degli Stati Uniti: in un discorso breve, appena una quindicina di minuti, predica l’unità e, senza pronunciare mai il nome del suo predecessore, Donald Trump, ne denuncia, in modo indiretto, ma esplicito, il comportamento (qui il discorso completo).
“Abbiamo il dovere – dice – di sconfiggere le bugie”: è l’epitaffio su quattro anni di menzogne spacciate per verità. Trump non sente: ha compiuto l’ennesimo – speriamo l’ultimo – sgarbo istituzionale, sottraendosi alla cerimonia. Sarà anche vero, come twitta, a discorso concluso, un funzionario democratico, che “così si aprono quattro anni di noia”, perché Biden non è un oratore trascinante e affascinante, non ha l’empatia di Ronald Reagan, la capacità di mettersi in sintonia con il pubblico di Bill Clinton, il richiamo ideale di Barack Obama.
Ma che distanza tra “the American carneage” di Trump 2017 e lo “stiamo uniti” di Biden oggi: “Dobbiamo porre un termine a questa Guerra incivile”, dove chi non la pensa come te è un nemico da annientare. Il neo-presidente è contento, lo si vede; e concentrato. Intorno a lui, ci sono “un sacco di Biden”, nota scherzando Amy Klobuchar, maestro di cerimonie dell’evento, riferendosi a figli e nipoti. Ma chi lui sente più vicino in questo momento è il figlio assente, Beau, ucciso da un cancro al cervello nel 2015.
È una cerimonia che esalta la diversità dell’America. Lady Gaga, origini italiane, canta l’inno; Jennifer Lopez interrompe la canzone per un’arringa in spagnolo; un cantante nero e repubblicano, quasi un ossimoro, esprime il suo rispetto. Biden non cita mai Trump, ma ne fa risaltare l’assenza quando ringrazia i suoi predecessori che sono qui: Clinton, George W. Bush, Obama – manca il vecchio Jimmy Carter, 96 anni -. E lo evoca per contrapposizione fin dalle prime battute: “E’ il giorno dell’America, della democrazia… Oggi celebriamo il trionfo non di un candidato, ma della democrazia: la voce del popolo è stata ascoltata… La democrazia è preziosa, è fragile e ha prevalso…”.
Due settimane dopo l’assalto al Congresso istigato dal magnate incapace di riconoscere la sua sconfitta, “ne siamo usciti uniti… Siamo una nazione forte, siamo brava gente, abbiamo ancora molto da fare, ‘much to repair, much to restore’”.
Non è un programma, non è un discorso di economia, non è un discorso di politica estera. Cina, Russia, Europa, neppure un cenno. E’ il discorso di un americano agli americani, in un anno in cui l’epidemia ha fatto più caduti americani della Prima Guerra Mondiale, oltre 400 mila. Biden cita Abraham Lincoln, un presidente repubblicano: “Quello che più conta è l’unità”, insiste, rimettere insieme la Nazione guarendola dall’odio, il risentimento, l’estremismo, la malattia; rendere l’America di nuovo capace di guidare il Mondo nella giusta direzione”, riprendendosi come fece dopo la Guerra Civile, la Grande Depressione, la Seconda Guerra Mondiale, l’11 Settembre. “Senza unità, non c’è pace, non c’è progresso, non c’è Nazione, solo caos… Ascoltiamoci, parliamoci, mostriamoci rispetto l’uno verso l’altro…”: il breviario d’un buon parroco, che deve riportare la concordai nel sue gregge sobillato da un eretico predecessore.
C’è l’omaggio a Kamala Harris, la sua vice, la prima donna, la prima agro-americana e americana di origine indiana: “Non ditemi che le cose non cambiano”. E l’invito alla moderazione costituisce anche un segnale al suo partito, che non persegua vendette e ritorsioni. “Sarò il presidente di tutti e mi batterò per quelli che non hanno votato per me come per quelli che hanno votato per me”, dice parlando agli spalti delle autorità di fronte al Congresso e a una piccola folla in basso di un migliaio di persone, tutte con la mascherina, ben distanziate, nella giornata fredda in cui un refolo d’aria fa vibrare sul prato del Mall le 200 mila bandierine piantate per ricordare gli americani che non possono esserci e quelli che non ci sono più.
Mentre Trump va e Biden arriva, l’epidemia da Coronavirus è fuori controllo negli Stati Uniti: oggi, all’alba, il numero dei contagi nell’Unione superava i 24.250.000 e quello dei decessi era già oltre 400 mila. Il più ricco e potente Paese al Mondo, con meno del 5 per cento della popolazione mondiale, ha un quarto dei casi mondiali e un quinto delle morti: ieri sera, al loro arrivo a Washington, Biden e Harris avevano reso omaggio alle vittime della pandemia con una fiaccolata intorno allo specchio d’acqua del Lincoln Memorial.
Firmando i decreti che annullano alcune delle decisioni più controverse di Trump, Biden intende ora imprimere una svolta alla lotta alla pandemia e alla crisi economica da essa generata, ma pure rottamare il più presto possibile l’eredità legislativa di quattro anni di trumpismo: via il divieto d’ingresso negli Usa da alcuni Paesi musulmani, via la misura che permette di separare le famiglie degli immigrati dal Messico; ritorno negli accordi di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici e nell’Organizzazione mondiale della Sanità.
Tra le disposizioni sul fronte della lotta alla pandemia, ci sarà l’obbligo di indossare la mascherina nelle proprietà federali e nei movimenti tra Stato e Stato dell’Unione. Finché l’emergenza sanitaria non superata, ci sarà lo stop agli sfratti e lo slittamento dei pagamenti dei prestiti contratti dagli studenti universitari. E, ancora, stop alle esecuzioni federali (che Trump aveva ripristinato, dopo una lunga moratoria) e stop all’oleodotto Keystone, che Obama aveva già bloccato e Trump ri-autorizzato, e revoca del bando dei transgender nell’esercito.
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