Una cosa è risultata immediatamente chiara in questi mesi di governo del centrodestra: la volontà di contrastare il processo di decarbonizzazione. Si è cominciato con una opposizione verso le case green e gli interventi di efficienza energetica, poi è stata la volta della proposta del “piano Mattei” di un hub nazionale del gas e ora ci si accanisce contro il phase out delle automobili diesel e a benzina.
Sono manovre destinata a rallentare, se non a bloccare, gli impegni definiti anche dal nostro Paese in sede europea per il 2030 e 2050, che dovrebbero invece costituire l’ossatura di un vero piano industriale nazionale.
In particolare, la scelta di contrastare le decisioni della Commissione Ue sull’obbligo di zero emissioni per le auto immesse sul mercato dal 2035 (approvato dall’Europarlamento il 14 febbraio scorso, e bloccato in Consiglio Ue proprio dall’Italia) appare – come le altre – retrograda e pericolosa per il nostro Sistema Paese.
Basta rileggere le affermazioni a giustificazione di tali posizioni per constatare una vera inadeguatezza strutturale: si dichiara di «voler condividere la transizione ecologica», ma parallelamente di voler dare «un segnale d’allarme, una sveglia» a tutta l’Europa rispetto a quella che viene vista come una fuga in avanti verso una visione giudicata «ideologica, messianica, escatologica», che «appartiene al passato».
Sono proprio i rischi paventati di una «sostenibilità del nostro sistema sociale, conseguenza della sostenibilità del nostro sistema produttivo», a rappresentare una visione legata al passato.
Stiamo parlando di una rivoluzione unanimemente riconosciuta da tutto il settore auto: entro il 2030 i veicoli elettrici arriveranno a rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% negli Stati Uniti; entro il 2026 il costo totale delle auto elettriche uguaglierà quello dei veicoli a combustione interna.
Gli asset industriali in gioco sono in continua evoluzione tecnologica e potrebbero proiettare il nostro sistema produttivo all’avanguardia sui nuovi modelli di mobilità e sulla nuova componentistica (batterie, sensori, elettronica, motori elettrici). E questo senza interrompere lo sviluppo dei biocarburanti sostenibili, soluzione rilevante oggi per il trasporto pesante e marittimo.
Inoltre, la sostenibilità del sistema sociale non può avere un impatto negativo investendo in fonti rinnovabili. Semmai il contrario, se implica la necessità di dare particolare sostegno al ruolo della formazione re-skill e up-skill delle imprese italiane del settore in una prospettiva di sviluppo.
Come indicato nello studio “La Rivoluzione dell’Automotive” (Federmanager e Aiee, 2023), la risposta strutturale all’attuale impennata dei prezzi del gas implica un aumento accelerato della produzione rinnovabile in tutti i campi, che comporterà la necessità della formulazione dei prezzi mediante contratti a lungo termine.
La conseguente ridotta volatilità dei prezzi dell’energia fornita alle auto elettriche sarà ulteriore elemento indispensabile nel processo di riconversione energetica e un vantaggio rispetto alle vetture a combustione interna. La scommessa sull’auto elettrica di Stellantis dovrebbe servire da esempio e dare un’indicazione precisa.
Il settore industriale italiano critica invece l’accelerazione data alla decarbonizzazione nel settore automotive, ma ciò aumenta il rischio di perdita di posti di lavoro: procrastinare le scelte può rivelarsi pericoloso per le imprese italiane, che rischiano di perdere parte degli investimenti verdi nel settore.
L’impatto economico e sociale della rivoluzione in corso nel settore auto rappresenta una grande occasione, a patto sia accettata in modo convinto e governata in un’ottica di strategia industriale: solo attraverso il ricompattamento del sistema produttivo del settore, oggi frammentato, e l’adozione di adeguate misure di sostegno al processo di innovazione tecnologica, l’Italia può riconquistare una leadership nel settore dell’automobile che oggi ha totalmente perso.