Non votare è sempre un’arma a doppio taglio: da un lato significa rinunciare a scegliere, dall’altro rappresenta invece una scelta ben precisa. Questa sua doppia valenza rende l’astensione sia un gesto completamente effimero che una spada di Damocle pendente sulle teste dei partiti e sulle loro sorti future. La natura effimera dell’astensione è legata al risultato elettorale della specifica tornata elettorale.
Lezione romana
Prendiamo il ballottaggio di Roma: Gualtieri ha sconfitto Michetti in un voto cui hanno preso parte solamente quattro aventi diritto su dieci. Gli altri sei, pur maggioritari, non hanno influito in alcun modo sulla scelta, e il loro gesto, per quanto forte possa essere stato, non è stato nemmeno calcolato nel risultato elettorale, che fino a prova contraria è determinato esclusivamente dal conteggio dei voti validi espressi. In poche parole, pur essendo maggioranza hanno delegato la loro scelta a una minoranza di elettori. Sta poi eventualmente alla dialettica della politica scambiarsi accuse sulla legittimazione politica con una così bassa affluenza, ma fino a un certo punto, perché se un vincitore è un po’ meno vincitore con così pochi votanti, allora uno sconfitto è ancora più sconfitto.
Veniamo però al secondo aspetto dell’astensione. Nel 2018, alle elezioni politiche, nella città di Roma votò poco più del 70 per cento degli aventi diritto: si tratta di oltre il 30 per cento in più del ballottaggio tra Gualtieri e Michetti, e succedeva appena tre anni fa. Proprio per questo, potrebbe succedere nuovamente senza troppe difficoltà, qualora un partito, un leader o un candidato dovesse essere in grado di toccare le corde giuste. Immaginiamo per un attimo se fosse successo già al ballottaggio, se la metà degli astenuti si fosse recata alle urne. Potremmo parlare di un risultato differente, di un vincitore diverso o di una vittoria più larga per il neosindaco, questo poco importa, ma la morale è che avrebbero decisamente avuto un ruolo più che determinante. Nessun partito potrà allora limitarsi a parlare solo a chi li ha già votati, perché coltivare il proprio elettorato non sarà sufficiente per lavorare e tanto meno per una futura crescita e quegli elettori silenti, pur avendo deciso di esercitare un ruolo effimero nel corso dell’ultimo voto, ora rappresentano una spada di Damocle, perché una loro eventuale mobilitazione potrebbe ribaltare la partita.
Partiti fanclub
Ma oltre a cosa implichi la scelta di non votare, c’è da interrogarsi su co- me mai una fetta così ampia di perso- ne abbia deciso di non partecipare a un’elezione che avrà un effetto così importante sulle loro vite per i prossimi cinque anni. Forse la risposta a questa domanda dovrebbe arrivare dai partiti, che dovrebbero cessare di essere dei fanclub del leader di turno e tornare a costruire un dialogo con le persone e le comunità.
Continua a leggere sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui.