Lettera di un lettore di TPI alla redazione:
Mi sembra che, fino a questo momento, nessuno abbia rimarcato la corrispondenza, nel senso della partecipazione, tra il voto politico e quello della base alla “Costituente” del partito di Conte.
Montanari, sull’astensionismo, afferma che nessun discorso sul patrimonio culturale (le pietre) può stare in piedi senza tener conto del suo rapporto con i vivi oggi, intesi come comunità politica (il popolo).
Mi sorprende il fatto che, al Palazzo dei Congressi, abbiano votato solo il 54% degli aventi diritto, sui quesiti posti in essere, fino ad arrivare al 62% per l’epurazione di Grillo, non cittadini comuni ma persone che, qualche tempo fa, deliberatamente, avevano scelto la partecipazione attiva alla politica di quell’orientamento. Mi sorprende di più che nessun opinionista abbia ancora messo in correlazione le percentuali di questo evento con le contestazioni fatte in precedenza in relazione ad un partito (FdL), che in contesto elettorale, afferma di aver vinto con un 28% ma, in realtà non governa perchè l’hanno voluto gli Italiani, lo fa nel rapporto di una volontà espressa soltanto attraverso una percentuale riconducibile al 16%.
Se all’interno del contenitore degli iscritti al Movimento si verifica un astensionismo del genere, significa che, anche coloro che si ritenevano attivi, iniziano ad avere più di un dubbio. Il disinteresse per la votazione più importante, quella che avrebbe dovuto avere un plebiscito di partecipazione, rispecchia, in maniera ancora più grave, la disaffezione nazionale nei confronti della politica.
Conte è rimasto solo, non sta a me stabilire se questo sia stato un suo obiettivo ma se lo fosse stato, adesso bisognerebbe stabilirne i perchè.
Undici milioni di voti persi dal 2018, il 30% dei voti pro Grillo, saranno voti persi, il 48% degli astenuti alla Costituente non sono andati a votare nè sabato, nè domenica, figuriamoci se andranno alle prossime elezioni per votare il Professore. Qui si parla di un consenso futuro intorno al 5%.
A Conte non fregava nulla nè di Grillo, né dei Grillini. Votava PD e si sarebbe guardato bene dall’ entrare in collisione con la politica pregiudicando i suoi percorsi professionali, almeno fino a quando, al M5S, non si fosse prospettata una schiacciante vittoria alle politiche 2018, almeno fino a quando, in quell’ occasione, Bonafede lo ha invitato ad essere Ministro.
Il Potere è un gran brutto vizio e quando lo assaggi nessuno è disposto a condividerlo con altri. Conte è tornato da Bruxelles con duecentotrenta miliardi ma non si può essere tanto ingenui da pensare che L’Europa potesse far gestire a Conte e a Renzi quella montagna di soldi. Draghi era già “Conditio sine qua non”, Draghi avrebbe avuto la gestione diretta di quei soldi elargiti come Monti lo fu quando i soldi ce li dovevano levare. Ad agosto, Draghi parla da leader dal palco di CL, sempre ad agosto, Di Maio confessa a Di Battista che il governo cadrà ad ottobre (poi febbraio, causa covid).
Tutti gli addetti ai lavori sapevano, meno che noi cittadini.
Conte, nonostante le 40 fiducie al governo Draghi, salva la faccia, Grillo, che naturalmente sapeva tutto anche Lui, non ce la fa e si sputtana attraverso la sua amara ironia dei Draghi e Cingolani grillini.
Adesso Conte è ancora lì, ma non è giusto che chiami Movimento Cinque Stelle questa sua creatura destinata a portarlo dove solo lui pensa di arrivare.
Maurizio Contigiani
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