Dopo aver vigliaccamente lasciato solo Assange, un Giornalista che rischia la vita per aver osato dar notizie sui potenti della terra, ieri pomeriggio, durante la conferenza stampa di fine anno di Mario Draghi, la stampa nostrana ha dato l’ennesima prova di patetico servilismo. Generalizzare è sempre errato e non dimentico le preziose eccezioni al conformismo mediatico che ci circonda. Ciononostante è bene ricordare che chi, sulla carta stampata, continua imperterrito a sollevare dubbi o, banalmente, a far domande, è sempre più raro. Gli applausi scroscianti pre e post conferenza draghiana di decine di giornalisti hooligans dell’establishment sono stati uno spettacolo da Corea del Nord. Con un’aggravante. Nei regimi chi non si allinea rischia qualcosa in più di una mancata promozione. Al contrario, nella nostra claudicante democrazia, centinaia di giornalisti temono più di ogni altra cosa l’uscita dalla loro comfort-zone.
Il Professor Crisanti, non certo un no-vax, da mesi solleva dubbi sull’efficacia del green pass insistendo sulla necessità di imporre l’obbligo di mascherina ffp2 sui mezzi pubblici. Appello inascoltato. Quanto meno fino ad oggi. Infatti, con colpevole ritardo, il governo ha imposto le ffp2 sui mezzi pubblici. Se un qualsiasi altro governo avesse ignorato tali suggerimenti per settimane per poi adottarli in fretta e furia travolto da decine di migliaia di nuovi contagiati quotidiani, sarebbe stato crocifisso dalla stampa. Ma il Messia riceve solo applausi. Scroscianti applausi e zero domande. Sia sul suo passato che sul presente. Ai voyeur nostrani, semmai, interessa solo il suo futuro. Tanto per “posizionarsi” per tempo. «Sarà o non sarà il prossimo Presidente della Repubblica?». Ecco la domanda delle domande. Figuriamoci se qualcuno osi tirare in ballo il passato del Messia nella conferenza di fine anno. Perché disturbare il manovratore se, oltretutto, vi è la possibilità (o il rischio) di ritrovarlo a giorni Capo dello Stato?
Eppure, se al suo posto, vi fosse stato qualsiasi altro Presidente del Consiglio, il passato, come è giusto in democrazia, sarebbe stato scandagliato. D’altronde venne setacciato il passato di Andreotti, di Berlusconi, di Prodi, di Conte. Draghi, al contrario, pare esser nato nel 2020.
Tuttavia sarebbe interessante – oltre che doveroso – chiedergli conto su molte cose. In pochi sanno che Goldman Sachs, la banca d’affari americana dove Draghi andò a lavorare dopo aver lasciato la direzione generale del Tesoro, nel 2003, giocò un ruolo importante nella privatizzazione di autostrade. I Benetton, infatti, erano alla ricerca di finanziatori per finire la scalata. Ebbene Goldman Sachs, oltre a mettere sul piatto 3 miliardi di euro, entrò in società con i Benetton accettando in cambio del prestito azioni di Sintonia sps, la subholding della famiglia veneta che controllava Atlantia, dunque, Autostrade per l’Italia. Mario Draghi, che nel 2003 lavorava in Goldman Sachs, è lo stesso Draghi che, quattro anni prima, da direttore generale del Tesoro, si era dedicato alla privatizzazione della rete autostradale italiana le cui tratte più fruttuose erano finite sotto il controllo dei Benetton. Possibile che nessun giornalista osi domandare al Presidente del Consiglio se fu lui ad occuparsi del dossier e, in tal caso, che compenso ottenne per aver portato i Benetton nel portafogli clienti della banca?
Possibile che, alla vigilia dell’ennesimo aumento di capitale in MPS (miliardi di denaro pubblico che finiranno, ancora una volta, nella cassa del Monte dei Paschi per renderla appetibile a possibili compratori) nessuno sia capace di rammentare a Draghi il fatto che fu lui ad avallare, ai tempi in cui era governatore di Bankitalia, la folle acquisizione di Antonveneta da parte di MPS? Eppure fu quello scellerato acquisto l’inizio della fine della banca più antica al mondo.
Tornando al presente e alla pandemia, possibile che nessuno si azzardi a chieder conto degli errori macroscopici commessi dai migliori? Il governo dell’assembramento ha deciso di concentrarsi esclusivamente sui no-vax (io, sia chiaro, suggerisco a tutti di vaccinarsi) non solo evitando di prendere adeguate misure di contenimento del contagio ma facendo credere ai più che vaccinarsi (ancor di più con la terza dose) fosse sinonimo di completa immunizzazione. Ripeto, vaccinarsi è importante e riduce drasticamente le complicazioni. Ma anche i vaccinati possono contrarre e diffondere il virus. E molti di loro non sono affatto asintomatici.
«Se fossi stato lì presente gli avrei chiesto che fine ha fatto l’immunità di gregge con la quale hanno veramente confuso gli italiani fino a pochi mesi fa». Sono parole di Crisanti ma nessun giornalista ha avuto il fegato di porre questa domanda ieri pomeriggio a Draghi.
Il governo ha utilizzato i no-vax per coprire i propri enormi errori. Mancati interventi sui trasporti, nelle scuole, nel pubblico impiego dove è stato, colpevolmente, azzerato lo smart-working. In tutto ciò, in un momento drammatico (ieri oltre 36.000 contagi e 146 morti) Draghi ha palesato il suo grande desiderio. Fuggire sul Colle. D’altro canto diversi leader politici gli avevano promesso la “promozione quirinalizia” se avesse accettato di fare per qualche mese il premier-traghettatore. Ora, il novello Vittorio Emanuele III cerca la sua Brindisi nel palazzo più prestigioso d’Italia. Fugge dai suoi errori, dalle sue responsabilità, da una crisi economica e sociale che neppure i suoi più fedeli trombettieri o i ridicoli macro-parametri economici che sbandierano con il petto in fuori e la pancia piena (e che nulla hanno a che vedere con la cruda realtà) sono in grado di nascondere. Ieri, a fronte di errori, cadute di stile e menzogne ormai palesi, al posto di ricevere domande scomode, Draghi ha ottenuto una standing ovation da un gruppo di giornalisti sempre più a difesa delle loro rendite di potere che del diritto della pubblica opinione ad esser informata.
Tuttavia le manifestazioni di asservimento da un lato e di patetico giubilo dall’altro che caratterizzano gran parte della stampa nostrana non servono a toglier dubbi ai dubbiosi né a dare rassicurazioni a chi, giustamente, ne è alla ricerca. In un mondo in cui le case farmaceutiche sono controllate dalla grande finanza c’è un solo modo per aumentare la fiducia della pubblica opinione verso le Istituzioni: rafforzare la sanità pubblica.
In Europa nessun vaccino è stato prodotto da una casa farmaceutica pubblica (tra l’altro neppure interamente da una casa farmaceutica europea). Mai come oggi è necessario finanziare con denaro pubblico una struttura pubblica capace di produrre farmaci pubblici. Farmaci utili nelle pandemie e farmaci utili a quei pazienti affetti da malattie così rare da non esser “redditizie” per i colossi di big-pharma. D’altronde tutto questo si chiama Stato. E sembra turpiloquio nell’era dei migliori.
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