Per comprendere il successo elettorale di Jean-Luc Mélenchon basta leggere le ultime dichiarazioni che il leader della France Insoumise ha rilasciato su Julian Assange. “Se lunedì sarò Primo ministro, Assange avrà la cittadinanza francese e sarà decorato per i servizi dati alla Francia”. Parole piuttosto chiare. Una presa di posizione netta. Tutto il contrario di quel che avviene dalle nostre parti dove, salvo rare e preziosissime eccezioni, i politici hanno il terrore di schierarsi dalla parte di Assange. Oltre ai politici tacciono molti giornalisti per non parlare degli attori, dei cantanti, degli influencer. Tutti strenui sostenitori del politicamente corretto, incalliti frequentatori delle proprie comfort zone ben remunerate, difensori delle verità comode.
A 78 anni, Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, non perde occasione per ricordare il caso Assange. “Se Assange è un criminale allora lo sono anche io”. Da noi pare che i personaggi pubblici neppure lo conoscano. La prigionia alla quale è sottoposto da oltre un decennio Assange è uno scandalo che dovrebbe far vergognare tutti coloro che si riempiono la bocca di parole quali “valori occidentali”, “libertà di espressione”, “mondo libero”. Con la definitiva autorizzazione all’estradizione negli Stati Uniti, Assange, un giornalista pluripremiato che non ha fatto null’altro che pubblicare notizie, è stato, di fatto, condannato a morte.
Assange, da due anni, è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a poche miglia di distanza dal balcone di Buckingham Palace dal quale, pochi giorni fa, si è affacciata la Regina d’Inghilterra in occasione del suo giubileo di platino. Settant’anni di regno per la Regina d’Inghilterra, undici anni di prigionia per un uomo colpevole di aver mostrato al mondo intero i crimini dei potenti. Undici anni che, oltretutto, potrebbero diventare 175. È la pena che rischia Assange in USA, il Paese i cui servizi segreti, non è un segreto, in passato hanno pensato di rapirlo e persino di assassinarlo.
Nel democratico e libero Occidente un uomo innocente, un giornalista, un perseguitato politico, viene consegnato ai suoi aguzzini. Nel democratico e libero Occidente gran parte dei giornalisti preferisce voltarsi dall’altra parte. È terribilmente difficile leggere editoriali colmi di indignazione per l’estradizione di Assange o lettere aperte scritte da direttori di giornali e rivolte ai leader politici per pungolarli affinché escano dal loro colpevole torpore. Per carità, c’è chi si batte, chi da anni lotta per la libertà di Julian, una libertà, tra l’altro, che non riguarda più soltanto lui.
Ma si tratta di una sparuta minoranza. Un po’ come gli imprenditori che denunciavano il pizzo nella Palermo degli anni ’80 e ’90. Eroi da morti, rompicoglioni da vivi. “Beh, se la sono cercata”. Questo veniva detto di coloro che pur di non cedere all’estorsione mafiosa erano disposti a perdere la vita. Di Assange i codardi della carta stampata, più o meno, dicono le stesse cose. “Che si aspettava che la CIA gli avrebbe permesso di pubblicare tutti quei documenti senza reagire?”. I peggiori nemici di Assange sono stati coloro che l’avrebbero dovuto maggiormente tutelare: i suoi colleghi giornalisti.
Nel democratico e libero Occidente tutti, grazie a Dio, ricordano Anna Politkovskaja ma in pochi hanno imparato a pronunciare il nome di Shereen Abu Saleh, la giornalista assassinata a Jenin, in Cisgiordania – una terra dove non dovrebbero esserci soldati israeliani ma che da decenni è sotto occupazione – per aver raccontato la tragedia palestinese. Assange ancora non è morto ma, da undici anni, è come se lo fosse. “La mafia uccide, il silenzio pure” disse Peppino Impastato. È vero. Assange è stato condannato a morte dai potenti ma è il silenzio di chi avrebbe potuto parlare ma non l’ha fatto che lo sta uccidendo.
Chi ha la possibilità di aprire bocca la apra. Chi ha una penna scriva. Chi ha una responsabilità istituzionale la eserciti senza alcun timore. Chi ha un giornale dedichi spazio a questa nauseabonda ingiustizia che si consuma nel cuore dell’Europa. Chi ha voce la tiri fuori, adesso. Già domani potrebbe esser tardi. Un uomo libero sta per essere assassinato affinché nessun altro segua il suo esempio. A marcire in carcere uno per educarne cento! È questo l’obiettivo e lo stanno per raggiungere grazie al fatto che nel democratico e libero Occidente sono già troppi quelli educati, docili, mansueti. Quelli dannatamente addomesticati.
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