Il confine tra “patriot” e “riot” in America lo decide il colore della pelle. Il diritto di vivere, di manifestare, di non ledere la libertà degli altri negli Usa, ancora oggi, lo decide il colore della pelle. Un’ingiustizia sociale che spacca il Paese da secoli e che, prepotentemente, continua a venire fuori: se essere nero nell’America del 2020 è ancora una sentenza di morte, in quella dei primi sei giorni del 2021 invece puoi assaltare il Congresso armato e vestito da vichingo, ma se sei bianco nessuno ti sfiorerà nemmeno con un dito. (Qui la ricostruzione completa di cosa è successo al Campidoglio).
Le due Americhe
L’emblema di questa frattura sociale, che è forse la più grande ferita della democrazia statunitense, ce lo restituiscono due immagini, entrambe difficili da dimenticare. Da una parte i sostenitori di Donald Trump che saccheggiano Capitol Hill proprio nel giorno della transizione dei poteri: l’arroganza dei piedi sul tavolo della speaker della Camera Nancy Pelosi, la sfrontatezza dei pugni sul petto in segno di possesso tribale, la cattiveria delle imitazioni della morte di George Floyd e la cecità nei cartelli complottisti QAnon. Il tutto rimasto impunito per ore. Dall’altra parte, le truppe militari dispiegate per ogni manifestazione pacifica dei Black Lives Matter, il più grande movimento per i diritti degli afroamericani: le armi, i lacrimogeni, i manganelli. Ma soprattutto i morti e i feriti.
Law and Order, ma non vale sempre
“Law & Order” raccontava ai suoi durante tutta la campagna presidenziale Donald Trump, che significava anche non avere alcuna remora a mandare l’esercito in molte città dove le manifestazioni erano più partecipate. Ed ora, dopo aver invitato i suoi a protestare a Washington nel giorno della certificazione ufficiale della vittoria di Joe Biden, si meraviglia di come nessuno abbia difeso il santuario della democrazia. Trump non solo sapeva, ma è stato proprio lui, per quattro lunghi anni, ad agitare le masse.
Ben diversamente aveva risposto dopo l’omicidio di George Floyd da parte della polizia americana: il 2 giugno 2020 davanti al Lincoln Memorial, durante le proteste tenutesi a Washington, è intervenuta la Guardia Nazionale. E anche in molte altre città la polizia si è scontrata violentemente con i manifestanti.
Il Black Lives Matter Global Network ha descritto le rivolte di ieri come un “vero colpo di stato”. Aggiungendo che è stato “un altro esempio dell’ipocrisia nella risposta alla protesta da parte delle forze dell’ordine del paese”. “Quando i neri protestano per le loro vite, sono troppo spesso accolti dalle truppe della Guardia Nazionale o dalla polizia equipaggiati con fucili d’assalto, scudi, gas lacrimogeni ed elmetti da battaglia. Se ieri i manifestanti fossero stati neri, sarebbero stati attaccati con gas lacrimogeni, picchiati e anche colpiti”, ha detto il portavoce del gruppo. Si chiama supremazia bianca, non ha altro nome. E basta mettere a confronto alcuni eventi per vederne la terribile violenza.
Manifestazioni a confronto: radiografia di un colpo di Stato
1. La Guardia nazionale solo in alcune occasioni – Lo scorso giugno membri della Guardia Nazionale, armati e con indosso uniformi mimetiche, sono saliti sui gradini del Lincoln Memorial, mentre folle di manifestanti stavano tenendo una protesta pacifica. Durante gli eventi di ieri invece, i rivoltosi erano già entrati nell’edificio prima che la Guardia Nazionale fosse attivata.
2. Diverso uso dei lacrimogeni e delle armi – Ancora, ieri mentre centinaia di manifestanti pro-Trump hanno preso d’assalto il Campidoglio, si potevano vedere agenti che distribuivano spray al peperoncino. A giugno invece, prima che Trump facesse le sue osservazioni al Rose Garden, la polizia vicino alla Casa Bianca ha lanciato gas lacrimogeni e sparato proiettili di gomma contro i manifestanti nel tentativo di disperdere la folla per la prevista visita del presidente alla chiesa episcopale di San Giovanni.
3. La probabilità di morire – Nell’assalto al Campidoglio di ieri quattro persone, tra cui una donna uccisa da colpi di arma da fuoco, hanno perso la vita durante le proteste e gli scontri. Ma bisogna rapportare questi numeri ai dati di Mapping Police Violence, secondo cui lo scorso anno 1.099 persone sono morte per mano delle forze dell’ordine di cui il 24 per cento neri, nonostante siano solo il 13 per cento della popolazione americana. Gli afroamericani hanno infatti il triplo delle probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto ai bianchi, sebbene siano, in media, il gruppo etnico meno armato (come abbiamo raccontato anche in questo reportage video esclusivo dal quartiere afroamericano di Chicago).
4. Due pesi e due misure per le conseguenze – Lo scorso giugno, i manifestanti a Washington DC, un solo pomeriggio di protesta ha portato a 88 arresti. In confronto, il capo del dipartimento di polizia metropolitana Robert Contee ha detto che mercoledì sera che la polizia ha effettuato solo 52 arresti, 26 dei quali sono stati effettuati in Campidoglio. Per non parlare degli omicidi di afroamericani rimasti impuniti, i dati fanno paura: negli Stati Uniti dal 2013 al 2019, il 99 per cento delle uccisioni compiute da agenti in servizio non hanno avuto ripercussioni penali.
Questione di aria
Questione di aria. Questione di respiri. George Floyd ci ha insegnato che in America ci sono persone che non possono respirare perché la polizia le soffoca fino ad ucciderle. L’assalto a Capitol Hill ci ha insegnato invece che quando un presidente spreca così tanto fiato per aizzare odio contro le istituzioni, poi il caos arriva davvero. In un modo del tutto assurdo e tragi-comico, ma arriva.
Leggi anche: 1. Chicago, dove si spara ogni due ore e ci sono due morti al giorno: il reportage di TPI / 2. Essere un nero in America è ancora una sentenza di morte
I commenti di TPI sull’assalto a Capitol Hill: 1. Il golpe di Trump (di Luca Telese) / 2. Il giorno più buio dell’America (del direttore di TPI Giulio Gambino) / 3. La democrazia Usa cancellata per qualche ora, ma il vero sconfitto è Trump (di Giampiero Gramaglia)