No, grazie. “Non ha senso imbiancare una casa che ha bisogno di profonde ristrutturazioni”. Nulla da fare: Giuseppe Conte non si sottomette e non molla. È andata come in questo sito avevamo previsto (e auspicato). Non molti, nei giorni scorsi, avevano compreso fino in fondo l’entità dello strappo di Beppe Grillo, il tono volutamente irrisorio e distruttivo della sua esternazione contro l’ex premier.
Il garante del M5S, nel suo discorso davanti ai gruppi, non stava semplicemente illustrando un “cahier de doleances” su qualche astruso codicillo dello Statuto. Stava ponendo una ipoteca sul futuro dei pentastellati. Stava, di fatto, provando a commissariare Conte, con una mossa politica camuffata da esternazione politica.
Bene, è stato l’ultimo vaffa. L’interessato, nel pomeriggio di ieri, domenica 27 giugno 2021, malgrado gli esercizi acrobatici dei retroscenisti – che, seguendo letture positiviste, davano per inevitabile la riconciliazione – ha semplicemente detto di no.
No a Grillo, come nell’estate del 2019 aveva detto di No a Salvini. Certo, Conte tutto questo lo dice educatamente, lo dice con il gusto delle perifrasi avvocatizie, ma lo dice in modo molto chiaro: “Non posso prestarmi a questa svolta, che si presenta con molte ambiguità”.
Ora che il dado è definitivamente tratto. Adesso che il rifiuto al garante si è celebrato in un rito pubblico, a Conte restano le ultime due possibilità: ritirarsi dalla politica, magari nel ruolo di una riserva della Repubblica (tipo Enrico Letta dopo il golpe di Renzi), oppure costruire un soggetto suo, e provare ad impedire, scendendo in campo, la vittoria annunciata del centrodestra. Tertium non datur.
E tutto il discorso dell’ex premier trasudava delusione e disincanto sul M5S: “Non ci possono essere mediazioni. Il movimento ha bisogno di una leadership chiara”. Il ché pare un invito a Luigi Di Maio a scendere dal pero, ma anche l’indicazione di una prospettiva fatta da uno che se ne va senza rancore, e che parla ancora nell’interesse di una intera coalizione: “L’ho sempre detto, non mi sarei mai prestato ad una operazione di facciata, di puro restyling”.
Così, se si prende atto delle difficoltà di Pd e M5S, delle piccole misere dei loro gruppi dirigenti (che, non a caso, in parallelo, hanno iniziato il lavoro di logorio contro Letta), davvero l’unica soluzione possibile è quella di fondare un soggetto nuovo: senza zavorre e senza ipoteche. Senza garanti e senza satrapi.
Perché è evidente a tutti che, così come sono messi oggi, i giallorossi, nella partita contro il centrodestra, non toccherebbero nemmeno una palla. Ai due partiti della coalizione, e ai loro miopi gruppi dirigenti, resterà un rammarico: avevano un leader a loro disposizione – e assai popolare – e lo hanno costretto, di fatto, a scendere in campo.