Parliamoci chiaro: il dialogo fra Conte e Letta, andato in scena di recente in un convegno digitale organizzato da Goffredo Bettini, con la partecipazione attiva di altri esponenti del variegato mondo della sinistra come Elly Schlein, Nadia Urbinati e Massimiliano Smeriglio, va benissimo. Anzi, è indispensabile.
Il punto è che la mozione degli affetti non è sufficiente. Enrico Letta fa bene a parlare di empatia, a sostenere che se si lavora insieme, bisogna anche volersi bene, a contrastare l’antipatia e l’arroganza ostentate come virtù da Renzi e a ribadire l’importanza dei rapporti umani, messi per anni in discussione da chi, evidentemente, non ha capito che a destra, forse, possono bastare gli interessi ma a sinistra no, serve anche un popolo pronto a seguirti e a battersi con te.
Fatto sta che, se si prende come modello Biden, uomo empatico e progressista a ventiquattro carati, bisogna prendere atto che sia lui che la vicepresidente Harris non si stanno limitando a dire agli americani quanto siano vicini al dramma di chi ha perso tutto a causa della pandemia: stanno anche stanziando fondi a più non posso, promuovendo politiche sociali e fiscali che mandano finalmente in soffitta quarant’anni di Reaganomics e venendo incontro alle richieste dell’ala sinistra del partito, un tempo irrisa e considerata fuori dal mondo e oggi, invece, ritenuta imprescindibile per il futuro del Paese e, probabilmente, dell’intero Occidente.
Dire “vogliamoci bene, ritroviamoci insieme in una grande piazza piena di gente” e remiamo nella stessa direzione è indispensabile: ricostruisce un senso di comunità, dona speranza e rende l’idea di una collettività desiderosa di ritrovarsi dopo anni di divisioni, litigi ed esasperazioni d’ogni sorta. Una volta stabilite alcune regole minime di convivenza civile, tuttavia, è necessario passare alle proposte, e qui, spiace dirlo, ma PD, 5 Stelle e potenziali alleati sono ancora carenti.
Partendo dai 5 Stelle, non si è ancora ben capito come dovrebbero configurarsi nell’era Conte, quali saranno i rapporti effettivi con Casaleggio, se quella con l’agenzia milanese sia una storia chiusa per sempre o meno, se tutti i parlamentari e gli esponenti di primo piano accetteranno il nuovo corso, e c’è da dubitarne, e come verrà gestito il cruciale appuntamento d’autunno con le Amministrative.
Per non parlare poi dell’ingombrante ombra di Grillo, il fondatore che ormai sembra essere diventato più una zavorra che un valore aggiunto per la compagine cui lui stesso ha dato vita. Per quanto concerne il fronte democratico, invece, sarà bene guardarsi negli occhi una volta per tutte, chiarire quanto il PD sia e voglia ancora essere renziano, quanto abbia deciso di svoltare a sinistra, se intende seguire l’impostazione rooseveltiana di Biden, non arrivo a dire di Sanders, mi basterebbe il buon vecchio Joe, e se sia in grado di accantonare il liberismo selvaggio cui si era convertito acriticamente negli anni Novanta per abbracciare una nuova frontiera keynesiana e labourista.
Senza contare che ha ragione la sindaca di Torino, Chiara Appendino, quando afferma, in un’intervista al La Stampa, che non ha alcun senso pensare di andare divisi al primo turno per poi incontrarsi in un eventuale ballottaggio: innanzitutto, perché sarebbe un accordo forzato e di comodo, una sorta di matrimonio combinato che, di per sé, presuppone un interesse comune ma non ha al centro alcuna forma d’amore e di condivisione; in secondo luogo perché queste forze politiche, per quanto post-tutto, hanno comunque una storia, sia pur breve, e questa storia è stata caratterizzata da divisioni, contrasti, feroci inimicizie e un vero e proprio muro di incomunicabilità che solo nell’estate del 2019 è finalmente crollato, neanche per scelta ma per il suicidio del “Capitano” leghista al Pepeete.
Andare divisi al primo turno, dunque, non significa colpire uniti al secondo, anche perché ormai i pacchetti di voti non si spostano più in base a come auspica questo o quel leader: il cittadino elettore sceglie a piacimento e le roccaforti non esistono più da tempo, come dimostra il tracollo della sinistra in Umbria e l’enorme fatica con cui il PD è riuscito a mantenere Toscana ed Emilia Romagna.
Restando ai democratici, vien voglia di ribadire che vanno benissimo Zaki, Regeni, il DDL Zan, i diritti civili nel loro complesso e, naturalmente, anche lo Ius soli e i salvataggi dei migranti in mare, ma questi princìpi, per chi si riconosce nel centrosinistra, costituiscono il minimo sindacale.
Possibile che questo partito non abbia detto ancora mezza parola sul lavoro, ossia sul tema potenzialmente esplosivo che sta squassando la nostra società e che in autunno sarà la vera emergenza da fronteggiare, per via dello sblocco dei licenziamenti e di una miriade di crisi industriali che finora sono state mitigate da provvedimenti ad hoc ma che a breve riemergeranno nella loro portata devastante?
Possibile che sia stato Conte a proporre un nuovo Statuto dei lavoratori, estendendo garanzie, tutele e diritti? Se i democratici non saranno in grado di compiere una riflessione di fondo sulla propria natura, una Bad Godesberg al contrario, in cui, invece di accettare le regole del capitalismo puntando, al massimo, a mitigarlo, si mettano in discussione i fondamenti di un modello ormai insostenibile a livello globale e si parli espressamente di un nuovo Welfare state e di politiche sociali avanzate che restituiscano dignità a ciascun essere umano, senza questo, sarà la destra sociale di Salvini e Meloni a passare all’incasso quando saremo chiamati alle urne.
Volendo spargere altro sale sulle ferite di questo partito, bisogna aggiungere che la riflessione deve partire quanto meno da Monti e dalla Fornero perché è lì che si è rotto il patto sociale, sono state varate controriforme inique e dannose e si è aperta la strada a un populismo che dapprima ha assunto i tratti caciaroni ma sostanzialmente progressisti del M5S delle origini e poi si è spostato sulla furia meloniana e leghista, fino a sfociare in un nazionalismo che contrappone i diritti e mette i penultimi contro gli ultimi, creando una guerra fra poveri che inevitabilmente avvantaggia solo le classi più abbienti.
A ciò si aggiunga la sbornia renziana sulla rottamazione, con i vecchi col retributivo, chiamati anche “boomer”, additati di essere i responsabili della miseria dei giovani, ed ecco che la miscela esplosiva è servita. Cari Conte e Letta, che vi vogliate bene e vogliate camminare fianco a fianco ci va benissimo, anzi ci fa molto piacere. Ci farebbe ancora più piacere, però, sapere dove vogliate condurci, con quali compagni di viaggio e quali rapporti di forza all’interno delle vostre compagini, verso quale modello sociale e di sviluppo, verso quale gestione dei fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e con quale idea di mondo.
Vorremmo sapere, inoltre, cosa sia per voi la democrazia, se si sposi o ripudi, come personalmente auspico, i tecnocrati in tutte le salse, se abbracci la concezione di un Occidente unito al cospetto di colossi globali in ascesa per cui la democrazia è un inutile orpello, buono per i sognatori e gli ingenui, e se abbia al centro un’altra visione dell’Europa, dato che, così com’è, questo continente non è degno di essere considerato nemmeno “un’espressione geografica”. Insomma, vorremmo conoscere la vostra ideologia. Ci scusiamo per questa parolaccia, ma la rutilante new age, cool, trendy e fashion, ci ha sinceramente stancato.
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