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    Chi è interessato davvero al popolo afghano dovrà parlare con i talebani. Il resto è ipocrisia (di A. Di Battista)

    Afghani fuori dall'aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul. Credit: ANSA/EPA/STRINGER
    Di Alessandro Di Battista
    Pubblicato il 21 Ago. 2021 alle 09:17

    Anche la prima vittima della guerra in Afghanistan è stata la verità. Una verità che ancora oggi, nonostante i nodi siano tutti venuti al pettine, viene vilipesa, oltraggiata, assassinata. Gli Stati Uniti e i suoi servi sciocchi non hanno bombardato l’Afghanistan (così come l’Iraq, la Libia o la Siria) per eliminare il terrorismo, la shari’a, il burqa o per garantire diritti umani. E chi ancora si beve questa balla è complice dei padroni e padrini del pianeta.

    Dal crollo del muro di Berlino in poi – con la conseguente disgregazione dell’Unione sovietica – Washington ha semplicemente giocato a RisiKo muovendo le truppe dove ha ritenuto fosse geo-politicamente conveniente.

    I talebani, che piaccia o meno, non avevano nulla a che vedere con l’attentato alle Torri gemelle, così come Saddam Hussein non possedeva armi chimiche, anche perché, nel silenzio (e in parte la compiacenza) dell’Occidente, le aveva già usate per fermare la controffensiva iraniana durante la guerra Iraq-Iran e per sterminare la popolazione curda di Halabja.

    Per non parlare di Gheddafi, assassinato, per la gioia di Sarkozy e della Clinton, esclusivamente per ragioni politiche. Altro che diritti umani. Anche quando il rais veniva ricevuto in pompa magna da Napolitano e Berlusconi, o gli veniva consentito di piazzare le tende davanti all’Eliseo, erano note le condizioni dei prigionieri nelle carceri libiche. Ma l’Occidente non faceva una plissé. Poi Gheddafi iniziò ad avvicinarsi a Cina e Russia e ad aumentare la sua influenza sui Paesi francofoni africani ed ecco spiegata la condanna a morte.

    Afghanistan, Iraq, Libia. Paesi rasi al suolo dalle bombe intelligenti, dagli esportatori di democrazia, dalle missioni umanitarie realizzate dai marines. Guardateli oggi, questi Paesi, e aprite gli occhi: smettetela di bervi tutto quello che leggete, smettetela di dar credito a politicanti responsabili di eccidi, a premi Nobel per la pace con la coscienza sporca, a giornalisti ed editorialisti che negli ultimi 20 anni ci hanno raccontato un mucchio di falsità.

    Certo, fanno scalpore le immagini degli afghani aggrappati al carrello di un aereo nordamericano e precipitati nel vuoto. Dovremmo tuttavia ricordare che da aerei simili sono state sganciate tonnellate di bombe che hanno fatto decine di migliaia di vittime innocenti, hanno sterminato famiglie intere nei giorni di festa, hanno carbonizzato bambini ai quali non è stata potuta dare neppure una degna sepoltura. Questa è la guerra. Questa è stata la guerra in Afghanistan. Una guerra oscena, ipocrita, inutile. Una guerra, oltretutto, persa.

    Alberto Negri, uno dei pochi giornalisti (insieme a Massimo Fini) che merita di esser letto se si vuole comprendere la questione afghana, mi raccontò quel che gli dissero i talebani quando iniziò la guerra dei vent’anni. “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”.

    E il tempo ha giocato un ruolo significativo nel conflitto afghano. Il tempo è stato il miglior alleato dei talebani e il peggior nemico degli americani. Insieme alla loro arroganza. Sì perché l’esercito più potente al mondo pensò di fare una scampagnata sulle montagne afghane. E questo nonostante gli afghani avessero cacciato a calci nel culo prima gli inglesi e poi i sovietici.

    Le guerre non dovrebbero mai aver luogo, ma se proprio si decide di combatterle si dovrebbero almeno vincere. Sono anni che sostengo che la guerra in Afghanistan, combattuta per ossequiare gli interessi delle grandi fabbriche di morte nordamericane e per creare un avamposto Usa in un Paese geo-politicamente strategico (l’Afghanistan ha quasi 1.000 km di confine con l’Iran, non è lontano dal Mar Caspio, dove opera la marina russa, ed è collegato alla Cina attraverso il Corridoio del Wakhan) fosse una follia e che la storia della democrazia da esportare fosse una fake news. Oggi se ne accorgono orde di ipocriti.

    Ma sono gli stessi ipocriti che, al posto di inchiodare alle loro responsabilità illustri assassini in doppio petto, parlano dei talebani, i quali godono del sostegno di milioni di afghani. L’ha ricordato pochi giorni fa Dario Fabbri, ottimo analista di Limes. “I talebani hanno un reale consenso nel Paese: nessun regime, neanche il più dispotico, può esistere senza consenso”. E tale consenso non è legato alle assurde dichiarazioni fatte dai politici occidentali.

    Ai talebani di essere “riconosciuti” importa poco o nulla. Sono i vincitori della guerra in Afghanistan e, piaccia o non piaccia, se si vuole avere un minimo di influenza su una terra strategica o se, banalmente, si vuole dar seguito alle dichiarazioni contrite e mettere in piedi corridoi umanitari per migliaia di profughi, bisogna parlare con loro. Punto.

    Oltretutto non sarebbe nulla di nuovo. Da anni ormai pezzi grossi dell’intelligence dei Paesi occidentali trattano con i talebani. Ci hanno trattato emissari di capi di Stato, dirigenti dei ministeri degli Esteri, Ong, persino direttori di imprese straniere.

    Io, sia chiaro, non provo alcuna simpatia per i talebani, ma trovo stomachevole scandalizzarsi per come i talebani trattano le donne e fare affari con i sauditi o considerare un “principe del rinascimento” Mohammad bin Salman, colui che ha ordinato l’assassinio e il conseguente smembramento del giornalista Khashoggi.

    Chi è davvero interessato alle condizioni di vita degli afghani, martoriati da una guerra infinita, la cui maggior parte vive con meno di 2 dollari al giorno (i denari americani hanno corrotto l’establishment afghano, non hanno certo aiutato la popolazione), dovrà parlare con i talebani.

    Se si vorranno aprire strutture sanitarie occorrerà parlare con i talebani. Se si volesse impedire che un Paese così importante si consegnasse ai cinesi come il fantasmagorico esercito afghano addestrato a suon di miliardi dei contribuenti Usa o europei si è consegnato ai talebani, beh, occorrerà trattare con loro.

    Altrimenti si può sempre tentare la strada della guerra umanitaria per scalzare dal potere i mullah del nuovo millennio. In fondo ha funzionato alla grande, non è vero? È la posizione di alcuni politici di centro-destra. Tornare in guerra dopo averla persa. Fenomeni al potere.

    La verità è che dei profughi afghani non interessa quasi a nessuno. La prova? L’assoluto disinteresse nei confronti dei milioni di profughi che hanno lasciato l’Afghanistan nell’ultimo ventennio. Sono anni che orde di disperati lasciano il Paese per fuggire dalle bombe e dalla fame nel silenzio dell’Occidente. L’Iran ne ha accolti 3 milioni e sono più integrati nella società persiana di quanto non lo siano i siriani accolti da Erdogan dopo aver incassato miliardi di euro dall’Unione europea.

    Preferisco scrivere verità scomode che accodarmi a un esercito di sepolcri imbiancati che non dovrebbero neppure pronunciare la parola “Afghanistan” dopo aver difeso una guerra scellerata. Preferisco sostenere (in assoluta minoranza) che atlantismo ed europeismo – oggi più che mai – non siano sinonimi e che gli interessi americani (in particolar modo quelli dell’industria bellica made in Usa) cozzino con quelli europei.

    Guardate l’Iraq. L’Isis ha dilagato grazie al vuoto di potere creato da un’altra guerra indegna e sono stati i pasdaran iraniani a fermarne l’avanzata, non certo i marines. Guardate la Libia, il principale alleato dell’Italia nel Mediterraneo. È un Paese dilaniato e oggi la Tripolitania è sotto il controllo di Erdogan, il “dittatore di cui abbiamo bisogno”, tanto per citare Draghi.

    E allora basta con questo bieco fideismo nei confronti di tutto quel che esce fuori dal Pentagono. Basta con tale stupida sudditanza. Mentre il mondo intero non può far altro che registrare l’ennesimo fallimento della politica estera americana sarebbe opportuno che le pubbliche opinioni europee chiedessero conto ai politici dell’Ue dei loro errori.

    Troppo comodo prendersela con i Bush, gli Obama, i Trump o i Biden. Troppo comodo criticare solo Washington quando Bruxelles, Roma, Parigi e Berlino si sono bevuti le balle propagate dalla Casa Bianca. Oltretutto i fallimenti made in Usa, oltre a essere costati centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati e migliaia di miliardi di dollari, hanno minato inesorabilmente gli interessi europei in Medio Oriente e nel Mar Mediterraneo.

    L’essersi accodati in modo vile alle scorribande dei sedicenti poliziotti del mondo ha rappresentato un atto di alto tradimento da parte delle classi dirigenti dell’Ue nei confronti di quasi 450 milioni di cittadini europei. La smettano gli americani e i loro servi ad ergersi a poliziotti del mondo perché non hanno valore e credibilità per farlo.

    Oltretutto la loro arroganza sta aumentando l’influenza cinese e russa sul mondo. L’Asse del Male (definizione propagandistica coniata dalla comunicazione Usa) si sta rafforzando per demeriti altrui e, tra non molto, gli sciocchi “atlantisti” saranno minoranza e verranno inseriti in un nuovo Asse. Se non quello del male senz’altro quello della stupidità.

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