“Se la Manovra l’avessi scritta io, avrei investito tutto sul Reddito di inclusione, ampliando la platea dei beneficiari. Cambiamogli anche nome se vogliamo, chiamiamolo reddito di cittadinanza, ma la sostanza non cambia”.
In un’intervista a The Post Internazionale, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti lancia la sua agenda politica per la corsa alla segreteria del Partito Democratico, proponendo tra le altre cose maggiori investimenti sul reddito minimo.
“Il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle per ora esiste solo sulla carta. È un grande annuncio di cui si continua a rinviare l’attuazione, forse perché, nella situazione attuale e con gli altri provvedimenti contenuti nella Manovra, non ci saranno mai le risorse per attuarlo”.
“Io invece propongo 10 miliardi tutti sul rafforzamento del Reddito di inclusione, da investire in tempi certi, rapidi. Sarà una delle proposte cardine del mio programma da segretario”.
Un provvedimento da poter attuare subito, anche nella prossima finanziaria, è investire 30 miliardi sulle infrastrutture, soldi che ci sono ma che lo stato non riesce a spendere. Ciò permetterebbe al paese di crescere. Se a questo aggiungiamo 10 miliardi per il Reddito di inclusione, riusciamo a coniugare crescita ed equità.
Un altro punto è poi l’aumento delle spese e degli investimenti su scienza, ricerca, università e scuola, per dare ai nostri giovani più opportunità in un mondo in cui la competitività è sempre maggiore.
È l’opposto di quanto sta facendo l’attuale governo, che scarica sulle nuove generazioni i costi del consenso politico. Nella Manovra non ci sono investimenti su università, scuola, innovazione tecnologica. A questo va aggiunto che saranno proprio i giovani a pagare l’aumento del debito pubblico.
Noi dobbiamo puntare su una nuova politica economica, che coniughi crescita ed equità. Dobbiamo mettere in campo azioni che aiutino le persone a realizzare se stesse e a sentirsi incluse.
Veniamo da una stagione in cui il centrosinistra è riuscito a ridare credibilità all’Italia, iniziando un percorso di uscita dalla crisi, ma ha anche sottovalutato il tema della crescita delle disuguaglianze. Questo non lo dico io, ma la difficoltà oggettiva di tante persone ad avere accesso a beni primari.
Io propongo un modello nuovo, in cui le politiche sulla crescita vadano a braccetto con una riduzione delle disuguaglianze, attraverso interventi concreti e incisivi.
Il Decreto Dignità è stato uno spot finalizzato a soddisfare le esigenze elettorali dei Cinque Stelle. Fare quel tipo di decreto, e poi devastare l’economia italiana come sta accadendo ora, non allargherà la sfera dei diritti né porterà a un aumento dei posti di lavoro.
Inizierà, piuttosto, una drammatica stagione di tagli alla spesa pubblica, che colpiranno soprattutto i settori produttivi del paese. Noi non dobbiamo fare confronti con la stagione alle nostre spalle, ma capire come fermare il declino dell’economia italiana che si prefigura con le politiche di questo governo.
Il Congresso serve a questo: aprire un confronto tra approcci e sensibilità differenti per far emergere un nuovo punto di vista. Credo che questo, nel partito, sia stato compreso da tutti.
Confermo, dentro una strategia di sviluppo e crescita questo può essere uno strumento.
Non c’è dubbio che il tema della sicurezza sia decisivo, perché ha a che fare con le fasce sociali più deboli di questo paese. Credo che questo tema non abbia solo a che fare con politiche di ordine pubblico.
Quello che è mancato da parte nostra, nel recente passato, è la consapevolezza che la sicurezza viene garantita anche attraverso integrazione, investimenti in politiche sociali, territoriali, con una presenza dello stato in zone del paese che si sentono abbandonate.
Le politiche sull’immigrazione sono politiche di inclusione, e la sicurezza si ottiene con un approccio di tipo culturale, intervenendo nelle aree dimenticate e disagiate. Minniti ha lavorato da ministro, ha dato alcune risposte, legate a quelle che erano le sue competenze. Un governo però, a mio parere, non deve limitarsi a fare quello che fa un ministro degli Interni.
Io non ho mai parlato in vita mia di alleanze politiche con il Movimento Cinque Stelle. Chi lo dice continua a mistificare le mie posizioni, importa lo stile grillino delle fake news nel nostro partito.
Nel Consiglio regionale Lazio non c’è una maggioranza, e se avessi voluto fare un’alleanza coi Cinque Stelle l’avrei già fatta in Regione.
Io dico una cosa diversa: è un dovere etico parlare con gli elettori che hanno abbandonato il Pd rifugiandosi, anche, nel Movimento Cinque Stelle.
Si tratta di due questioni molto diverse. In quel confronto era necessario entrare nel merito dei contenuti, del perché non era possibile costruire un’intesa tra noi e i Cinque Stelle. Se questo fosse stato fatto, oggi il Pd sarebbe più forte. Questo non c’entra nulla col prospettare future alleanze tra noi e il M5s, che escludo.
Credo che tutte queste componenti abbiano avuto un ruolo. Dopo la sconfitta di Hillary Clinton, si è aperta un’altra stagione per i Democratici in America, che ha aperto la strada anche alla discesa in campo di figure nuove.
La contrapposizione a un presidente molto di destra come Trump ha poi certamente favorito un rinnovamento anche nei contenuti. In questo modo tanti elettori si sono sentiti nuovamente rappresentati, hanno trovato delle sponde che prima non vedevano e sono tornati al voto.
Trovo provinciale l’idea italiana di assomigliare a un leader straniero, che deve necessariamente confrontarsi con la specificità della situazione del suo paese.
Se dobbiamo fare il nome di un grande leader contemporaneo, scelgo Obama. Ha evocato grandi valori, ha lasciato al suo paese riforme profonde, che oggi sono il germe di una ripresa dei Democratici negli Stati Uniti.
La sinistra tornerà ad essere utile se farà crescere questo paese riducendo al tempo stesso le disuguaglianze. Quella che io chiamo “l’economia giusta” è uno sforzo per ricostruire un nuovo modello economico, non solo italiano ma europeo. L’Europa oggi ha due strade: o ritrova in fretta la sua missione o rischia la disintegrazione.
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