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Video del professore bullizzato dall’alunno, cosa dice la legge?

Ivano Zoppi, presidente della cooperativa Pepita Onlus, commenta la vicenda del filmato girato in una scuola di Lucca e pubblicato online in cui un alunno prende di mira il docente

Di Anna Ditta
Pubblicato il 20 Apr. 2018 alle 15:36

Il video del professore preso di mira dall’alunno in un istituto tecnico di Lucca ha fatto il giro del web e continua a fare discutere.

Dalla società liquida alla società del “tutto possibile”, dove un adolescente può filmare indisturbato e compiaciuto il professore che viene aggredito verbalmente da un compagno senza che si domandi il senso di ciò che sta facendo. Perché?

Il reato di chi non interviene

“Per una volta – commenta Ivano Zoppi, Presidente di Pepita Onlus, la cooperativa sociale che da oltre tredici anni è al fianco dei ragazzi per sostenerne la crescita nelle difficoltà dell’adolescenza – spostiamo l’attenzione dall’aggressore al ragazzo che ha filmato e postato”.

“L’aggressione c’è e non si deve per forza parlare di bullismo – prosegue Zoppi – per descrivere quanto accaduto. Il bullismo presuppone la sistematicità e la reiterazione del gesto, condizioni di fatto smentite dal docente. Proviamo invece a concentrarci su quel ragazzo che ha scelto deliberatamente di non intervenire, di filmare un atteggiamento violento e di metterlo in rete. Di nuovo, perché?”.

L’ebbrezza del like

“Qui va posta l’attenzione – riprende il Presidente di Pepita – sulla consapevolezza di voler cogliere e sfruttare una situazione pensando vedendone la portata mediatica, la sua viralità. E allora c’è da chiedersi se l’innalzamento dell’età per accedere ai social network possa davvero raggiungere l’obiettivo di limitare fenomeni di cyberbullismo e sexting. Con quale sistema sarà possibile davvero filtrare gli accessi, effettuare i dovuti controlli e affidarsi al fatto che basti davvero l’autorizzazione dei genitori?”

Cosa dice la legge

Il nuovo Regolamento UE 2016/679 sulla Privacy dei minori, che diventerà operativo anche in Italia dal prossimo 25 maggio, recita nell’articolo 8 in riferimento a tutte le piattaforme on line, che “il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale”.

Fatta la legge trovato l’inganno

La norma non cambia il valore dell’aspetto educativo. Una regola conserva il suo significato di limite nella misura in cui viene fatta rispettare e vengono posti dei criteri validi, ma deve essere accompagnata dalla creazione di una cultura del rispetto della regola.

“Occorre restituire gli strumenti educativi agli educatori e agli insegnanti – spiega Zoppi – occorre cambiare la mentalità, creare la cultura inserendo percorsi di educazione alla responsabilità, all’educazione, alla moralità. Non è che mettendo i divieti si risolve la situazione. I casi che quotidianamente emergono dalla cronaca ci fanno riflettere in questa direzione: non è solo il ragazzo che manca di rispetto al professore a destare preoccupazione, ma la negazione della dimensione del rispetto nel desiderio di divulgare immagini che possono restituire notorietà”.

Secondo il presidente di Pepita Onlus, occorre rimettere al centro della famiglia e della scuola l’educare, anche come materia di insegnamento. Infine il bisogno di trasgressione o di dare linfa all’autostima deriva dalla mancanza di figure adulte di riferimento capaci di accompagnare la crescita e la costruzione dell’identità. “I ragazzi finiscono così – conclude Zoppi – con lo scegliere modelli estremi, provare sostanze o formule alternative per affermare la propria identità”.

Articolo a cura di Barbara Reverberi

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