Il video del professore preso di mira dall’alunno in un istituto tecnico di Lucca ha fatto il giro del web e continua a fare discutere.
Dalla società liquida alla società del “tutto possibile”, dove un adolescente può filmare indisturbato e compiaciuto il professore che viene aggredito verbalmente da un compagno senza che si domandi il senso di ciò che sta facendo. Perché?
“Per una volta – commenta Ivano Zoppi, Presidente di Pepita Onlus, la cooperativa sociale che da oltre tredici anni è al fianco dei ragazzi per sostenerne la crescita nelle difficoltà dell’adolescenza – spostiamo l’attenzione dall’aggressore al ragazzo che ha filmato e postato”.
“L’aggressione c’è e non si deve per forza parlare di bullismo – prosegue Zoppi – per descrivere quanto accaduto. Il bullismo presuppone la sistematicità e la reiterazione del gesto, condizioni di fatto smentite dal docente. Proviamo invece a concentrarci su quel ragazzo che ha scelto deliberatamente di non intervenire, di filmare un atteggiamento violento e di metterlo in rete. Di nuovo, perché?”.
“Qui va posta l’attenzione – riprende il Presidente di Pepita – sulla consapevolezza di voler cogliere e sfruttare una situazione pensando vedendone la portata mediatica, la sua viralità. E allora c’è da chiedersi se l’innalzamento dell’età per accedere ai social network possa davvero raggiungere l’obiettivo di limitare fenomeni di cyberbullismo e sexting. Con quale sistema sarà possibile davvero filtrare gli accessi, effettuare i dovuti controlli e affidarsi al fatto che basti davvero l’autorizzazione dei genitori?”
Il nuovo Regolamento UE 2016/679 sulla Privacy dei minori, che diventerà operativo anche in Italia dal prossimo 25 maggio, recita nell’articolo 8 in riferimento a tutte le piattaforme on line, che “il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale”.
La norma non cambia il valore dell’aspetto educativo. Una regola conserva il suo significato di limite nella misura in cui viene fatta rispettare e vengono posti dei criteri validi, ma deve essere accompagnata dalla creazione di una cultura del rispetto della regola.
“Occorre restituire gli strumenti educativi agli educatori e agli insegnanti – spiega Zoppi – occorre cambiare la mentalità, creare la cultura inserendo percorsi di educazione alla responsabilità, all’educazione, alla moralità. Non è che mettendo i divieti si risolve la situazione. I casi che quotidianamente emergono dalla cronaca ci fanno riflettere in questa direzione: non è solo il ragazzo che manca di rispetto al professore a destare preoccupazione, ma la negazione della dimensione del rispetto nel desiderio di divulgare immagini che possono restituire notorietà”.
Secondo il presidente di Pepita Onlus, occorre rimettere al centro della famiglia e della scuola l’educare, anche come materia di insegnamento. Infine il bisogno di trasgressione o di dare linfa all’autostima deriva dalla mancanza di figure adulte di riferimento capaci di accompagnare la crescita e la costruzione dell’identità. “I ragazzi finiscono così – conclude Zoppi – con lo scegliere modelli estremi, provare sostanze o formule alternative per affermare la propria identità”.
Articolo a cura di Barbara Reverberi
Leggi l'articolo originale su TPI.it