Quell’incontro al Viminale, ai gruppi ultras “distanti politicamente” da Matteo Salvini, non è piaciuto per niente. Niente da dire sulla decisione di mettere uno stop ai settori chiusi, alle trasferte vietate, alle partite bloccate. Ma al centro delle contestazioni mosse da alcuni gruppi c’è la “motivazione” per cui si è arrivati a questa decisione.
Quello al ministero dell’Interno “è stato l’ennesimo incontro inutile, buono solo come spot elettorale. Noi non c’eravamo. Nessun gruppo ultras era lì” spiegano a TPI e “per i tifosi hanno parlato gli Slo, figure che nulla sanno di curva e tifoserie”. Gli Slo, tecnicamente Supporter Liaison Officer, sono i delegati della società di calcio ai rapporti con la tifoserie.
Ma che l’incontro non nascesse con i giusti presupporti era scritto: basti pensare che fino a poche ore dall’incontro, organizzato in fretta e furia per dare una risposta “più mediatica che concreta” dopo gli scontri di Inter – Napoli, nessuno sapeva chi si sarebbe seduto a quel tavolo.
Inizialmente il Viminale voleva radunare tutti gli Slo delle società professionistiche. Poi, però, ci si è resi contro che 96 persone intorno a un tavolo sarebbero state difficili da gestire. Così si è optato per un rappresentate degli “Slo” di Serie A, uno di Serie B e uno di Serie C.
Ma le tre leghe non hanno un “rappresentante degli Slo”. Così l’incontro – al centro del quale c’erano le tifoserie italiane – si è svolto senza rappresentanti “ufficiali” delle squadre deputati al rapporto con le tifoserie, lasciando agli Slo intervenuti (l’invito era “libero”) il ruolo di “uditori” ai quali chiedere al massimo un parere.
Intorno al tavolo c’erano – e hanno preso parola – oltre al ministro Matteo Salvini il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo sport Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, il capo della polizia Franco Gabrielli, il presidente del Coni Giovanni Malagò e il presidente della Figc Gabriele Gravina.
Salvini ha più volte fatto riferimento a due principi che dovranno essere il centro del piano del governo: “Coinvolgimento e partecipazione”. Così, dopo aver sciorinato numeri (6.500 persone sottoposte a Daspo rispetto a 12 milioni di appassionati) ha spiegato che questo governo non sarà mai favorevole a misure come settori chiusi, partite sospese, trasferte vietate.
“Bene”, commentano le tifoserie, ma il problema è che questa decisione, secondo alcuni di loro, altro non sarebbe che “una promessa elettorale a quello che a tutti gli effetti è un suo bacino: gli ultras di estrema destra”.
In particolare “i gruppi dell’Inter, alcuni del Milan, quelli di Verona, Varese, Padova, Treviso”. E la prova sarebbe il fatto che la decisione – “che, ripetiamo, ci trova d’accordo” – di non varare il pugno duro contro gli ultras dopo gli scontri di Inter-Napoli sia arrivata proprio per i fatti avvenuti nella “sua” Milano e che ha visto coinvolte le “sue” tifoserie.
Quel giorno “non c’è stato uno scontro tra tifosi”, ci confermano alcuni ultras contattati prima dell’incontro del Viminale, “ma un raduno di fascisti dal nord e dalla Francia”. Varese, Verona, Inter, Nizza. “Tifoserie organizzate di estrema destra e che hanno come nemico comune quella del Napoli”.
Ma perché le tifoserie non hanno chiesto di essere ascoltate dal ministero dell’Interno? “Perché sul tavolo non c’era il mondo del calcio e le sue problematiche” ma “il tentativo di accusare gli ultras come i responsabili dello sfacelo del calcio italiano”.
“Noi avremmo chiesto di discutere del caro biglietti, del sistema repressivo messo in atto dalla tessera del tifoso in poi, da un calcio ormai schiavo delle Pay tv”.
E ancora: “Avremmo chiesto libertà di movimento per le trasferte, con la possibilità di tornare a organizzarne di nostre senza dover sottostare a diktat delle autorità e a folli divieti” come “quello degli striscioni che vieta, ad esempio, ai tifosi della Spal di esporre la bandiera di Federico Aldrovrandi quando la squadra di Ferrara gioca in trasferta”.
Ma alcuni tifosi da Napoli vanno oltre: “Chi come noi va in trasferta solo e soltanto per seguire la propria squadra sa bene il rischio che corre”. Tutti sembrano sapere cosa sta succedendo nelle curve “ma non saremo certo noi a parlarne pubblicamente”. Una cosa è certa: “Ormai è quasi Napoli contro tutti. Siamo nel mirino di praticamente tutte le tifoserie italiane” esclusi pochi casi, Genoa in testa.
E anche quella di Milano “non è stata un’aggressione” come è stato raccontato inizialmente dalla stampa “ma una vera e propria battaglia”, di quelle “che ci si immagina per difendere o riconquistare un territorio”. Il problema, però, è che oggi questo scontro “è tutto interno alle forze politiche di destra”.
Ed è a queste forze politiche “che Salvini continua a guardare” ci spiegano ultras di alcune squadre del Nord. Un esempio? “Guardate quanto successo a Verona. Prima gli ultras dell’Hellas erano vicini a Forza Nuova. Ora sono di fatto della Lega”.
Prove? “Nel mondo ultras non ci sono prove ma messaggi, segnali, come quando Salvini indossò la giacca ‘di Casapound’ allo stadio Olimpico di Roma”. E qual è stato questo segnale che ha sancito il patto tra gli ultras veronesi e la Lega Nord, per capirci? “Il sindaco Federico Sboarina e quella maglietta ‘Old School Verona’ indossata per festeggiare la sua elezione (era il giugno 2017, ndr) che altro non è che il marchio (di moda, ndr) degli ultras scaligeri una volta vicini al Veneto Fronte Skin e a Forza Nuova”.