Adriana ha 34 anni, viene dal Brasile e vive in Italia da quando di anni ne aveva 17. Si era trasferita con la mamma diversi anni prima, trascorrendo la giovinezza nella città di Napoli.
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Dal 21 febbraio Adriana è trattenuta nel Cie di Brindisi poiché nel 2011 le è scaduto il permesso di soggiorno e, dopo aver perso il lavoro, avrebbe dovuto fare rientro in Brasile.
Adriana è transessuale e da quando è stata costretta a restare nel Cie è stata assegnata al reparto maschile. Dal 12 marzo, in attesa di conoscere il suo destino, Adriana ha iniziato uno sciopero della fame per chiedere una minima misura di dignità: essere trasferita in un luogo dove ci siano altre transessuali.
Come racconta a TPI, “in Italia oggi non ci sono centri di accoglienza che abbiano anche reparti per i transessuali, cosa che invece esiste per le carceri, ma vorrei almeno che fino alla sentenza del giudice – attesa per il 10 aprile – che dovrà esprimersi sul ritiro della mia espulsione, io possa essere affidata ad un altro centro, o di poter far ritorno alla mia casa”.
Come infatti ci racconta, molti degli affetti, dei familiari e degli amici di Adriana sono qui, in Italia. Paese nel quale lei ha anche una dimora e la possibilità di un nuovo lavoro.
“Per dieci anni ho versato i contributi, mi sono sentita a tutti gli effetti una cittadina italiana, questo non vale nulla?”, si è domandata Adriana.
Difficile non comprendere come una donna trans trattenuta fra centinaia di uomini si senta in costante pericolo. Adriana comprende di non poter andare in un reparto femminile perché, come racconta, “non è ancora completo il percorso per divenire una donna a tutti gli effetti”, ma al momento non si sente al sicuro. Dice di avere più volte avvertito un forte senso di insicurezza e ancora adesso vede ogni istante evidenti rischi di violenze: “Ho paura per la mia incolumità, più volte ho temuto per la mia sicurezza”.
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