Essere convinti di trovarsi nel bel mezzo di un attentato, per poi capire, solo più tardi che in realtà non era successo nulla. È quello che hanno provato centinaia di persone il 3 giugno mentre si trovavano a piazza San Carlo, a Torino, dove 1.500 persone sono rimaste ferite a causa del panico collettivo.
Tra i feriti, tre – due donne e un bambino di sette anni calpestato dalla folla – sono in coma farmacologico.
Erano tra i 20mila e i 40mila gli spettatori accorsi per guardare la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid su un maxischermo, quando all’improvviso un suono ha scatenato il panico nella folla, che allontanandosi istintivamente dal luogo della presunta esplosione ha creato una reazione collettiva di fuga che ha coinvolto migliaia di persone.
Secondo le prime ricostruzioni delle forze dell’ordine, i motivi che hanno generato il panico potrebbero essere stati due: l’esplosione di un petardo di piccole dimensioni e, poco dopo, la caduta del parapetto del parcheggio sotterraneo della piazza.
Rosy, una ragazza di 28 anni di Parma, ha raccontato a TPI cosa ha provato e visto quella sera.
Dove ti trovavi quando è scoppiato il panico?
Mi trovavo con due amici in piazza San Carlo, sul lato sinistro della piazza, dove c’era il palchetto dei giornalisti, verso i portici. Per fortuna era una buona posizione che ci ha consentito di fuggire per primi abbastanza rapidamente.
Eravamo tranquilli a vedere la partita quando a un certo punto si sono sentite delle urla. Non abbiamo sentito alcun boato, nulla. Soltanto alcune persone che urlavano di coprirsi, che continuavano a dire: “Non respirate, copritevi la bocca e il naso, pare ci sia un gas”. Allora ci siamo tirati su la maglia e siamo stati spintonati da questa folla umana impazzita.
Subito dopo abbiamo sentito urlare: “Bomba!” e immediatamente ci siamo catapultati verso i portici. Lo scenario non era dei migliori: tavoli scaraventati per terra, zaini, scarpe, transenne cadute, gente che urlava. In quel momento abbiamo pensato al peggio, visto il periodo che stiamo vivendo. C’era il panico più totale.
Cosa avete fatto quando vi siete resi conto che c’era qualcosa che non andava?
Siamo usciti dalla piazza, ma anche le strade laterali erano invase da persone che scappavano da destra a sinistra. Eravamo disorientati, non essendo di Torino non sapevamo neanche dove andare.
Ci siamo ritrovati in una stradina e lì ci siamo visti apparire una folla di persone che correvano dal lato opposto a quello in cui correvamo noi. C’era un ragazzo insanguinato che diceva che stavano sparando.
Abbiamo invertito il senso di marcia e abbiamo corso insieme alla folla. Si sentivano sirene, poliziotti ovunque, ma nessuno sapeva nulla. C’era chi diceva che fosse una bomba, chi diceva che stessero sparando. Un altro ragazzo diceva che una macchina fosse entrata in piazza e avesse investito la folla. Le teorie più disparate dettate dal nulla, dal panico e dalla paura. Avevamo paura di trovarci qualche macchina contro.
C’è una macchina in piazza San Carlo e qualcuno che spara dall’altra parte, era questo il sunto che avevamo colto dai racconti delle altre persone. C’erano tantissime persone insanguinate a causa dei vetri che c’erano per terra, ma sul momento non riuscivamo a ragionare. Noi eravamo in tre e siamo riusciti a scappare tenendoci per mano.
Quand’è che avete realizzato che non era successo nulla?
La paura era anche quella di perderci. Dopo un po’ che correvamo ci siamo fermati e abbiamo cercato sulla mappa dove fosse parcheggiata la macchina. Dopo esserci un attimo tranquillizzati ci è arrivato un messaggio da un amico che diceva che forse era uno scherzo.
Finché non sono arrivata alla macchina non ho realizzato che non era successo nulla in realtà. Mi dicevo che era impossibile che un petardo o uno scherzo avesse potuto scatenare tutto questo caos.
In macchina ho letto che non era un attentato, ma per un quarto d’ora siamo stati certi che lo fosse. Sul momento non riuscivamo a pensare a nulla, solo che fossimo nel bel mezzo di un attentato.
È stato quello il primo pensiero. C’erano tante persone che suonavano ai campanelli, urlando: “Apriteci vi prego, c’è un attentato”. C’erano persone che si nascondevano nei ristoranti, dove c’erano persone ignare che cenavano senza capire cosa stesse succedendo. I ristoratori a un certo punto hanno iniziato a chiudere le porte.
Ho iniziato a tranquillizzarmi una volta arrivati in macchina in autostrada. A noi è andata comunque bene, nessuno di noi è rimasto ferito, ma è stato qualcosa di sconvolgente.