“Ero lì con la mia famiglia, mia sorella, i nostri figli e mia nonna di 93 anni. Abbiamo tutti sentito distintamente la scossa e urlando ci siamo riversati in strada: è stato un momento terribile in cui non sapevamo cosa fare. Ciascuno ha reagito in modo diverso; io ero impietrita, terrorizzata a tal punto da non saper agire”.
Raffaella, romana di 40 anni, era a Spelonga, frazione di Arquata del Tronto, la notte del terremoto. Era lì con la sua famiglia e non ci tornava da due anni. Il 24 agosto, alle 3.36 del mattino, ha avvertito la scossa di terremoto magnitudo 6.0 che ha ridotto i Comuni di Arquata e Amatrice a un cumulo di macerie.
“Poi siamo riusciti ad andarcene: abbiamo preso tutti i bambini e insieme alla nonna li abbiamo fatti salire su una macchina dirigendoci verso il cimitero, dove, peraltro, moltissime macchine erano parcheggiate in occasione della festa. Abbiamo trascorso la notte in auto insieme ai nostri figli: la più piccola, di soli due anni, era rimasta così impressionata dalle nostre urla che non è più riuscita a prendere sonno. Al mattino, verso le otto, abbiamo sentito gli elicotteri e le forze dell’ordine, siamo corsi verso casa per una rapida ricognizione e per raccogliere i nostri beni”.
Spelonga è una frazione di Arquata del Tronto ed è collocata in posizione più alta rispetto al paese. Sono centri molto piccoli che di norma raccolgono poche centinaia di abitanti, ma in alcune settimane durante l’anno anche questi borghi si riempiono di forestieri che ne duplicano o triplicano il numero degli abitanti. Accade, ad esempio, durante le celebrazioni della “Festa Bella”, una manifestazione che si tiene una volta ogni tre anni e che si sarebbe dovuta svolgere proprio in questa settimana.
Una giornata infinita quella di Raffaella e della sua famiglia che per oltre 24 ore non hanno chiuso occhio. Troppo lo spavento e la sensazione di essersi salvati quasi miracolosamente: “La nostra è una casa del Cinquecento, avevamo appena concluso i lavori di ristrutturazione e ci eravamo ritrovati lì per inaugurarla. Incredibile credere che forse quei lavori ci hanno salvato la vita. I danni sembrano riguardare solo l’intonaco esterno, ma non dovrebbero esserci problemi strutturali. Ora siamo preoccupati per l’abitazione posta accanto alla nostra: è un casolare pericolante che potrebbe crollare”.
Un volta raccolte le valigie e i beni essenziali, la luce ha mostrato quanto era accaduto intorno a loro: la vista dall’alto sul paese di Arquata restituiva delle immagini devastanti. “Arquata sotto i nostri occhi era completamente distrutta. Le mie zie che abitano lì si sono salvate, l’una posizionandosi sotto l’architrave dell’abitazione che ha retto, l’altra riuscendo a fuggire insieme al marito sfondando il portone dell’abitazione bloccato dalle macerie”.
Sono tornati tutti a Roma senza passare per la Salaria, ma percorrendo la strada più lunga. Il ritorno a casa ha reso tutto più reale: ci siamo incontrati tutti a fine serata e tra TG e aggiornamenti vari abbiamo realizzato il pericolo che avevamo corso. L’emozione ci ha travolti, siamo crollati in un pianto liberatorio, forse necessario”.
* Intervista di Lara Tomasetta