Il viaggio in Italia del gas proveniente proveniente dall’Azerbaigian attraverso le condotte TAP (Trans Adriatic Pipeline) non si fermerà in Puglia. Per raggiungere l’Europa, il metano dovrà attraversare tutto lo Stivale, da sud a nord, passando su ben dieci regioni e incontrando le zone più sismiche del Paese.
Si chiama Rete Adriatica il proseguimento del TAP sul territorio italiano: 687 chilometri di gasdotto che la Snam Rete Gas è pronta a costruire. Due progetti presentati separatamente ma che, se divisi, non avrebbero ragione di esistere.
L’Abruzzo è una delle regioni che rischia di subire il maggior impatto da quest’opera. Anche qui, come in Puglia, molte comunità locali fanno resistenza.
A Sulmona, in provincia de L’Aquila, le compravendite dei terreni posti sul tracciato stabilito per la costruzione della Rete Adriatica si sono concluse una decina di anni fa, con largo anticipo, una certa fretta e “in sordina”, raccontano gli agricoltori del posto.
“Ci dissero che i nostri terreni valevano un euro e ottanta al metro quadrato”, ricorda Antonio, uno di loro.“Ero incredulo, sconcertato, io quei terreni li avevo pagati molto di più”.
“Raccontarono ai contadini, molti dei quali anziani, che se non avessero venduto avrebbero comunque ottenuto i lotti con l’esproprio”, aggiunge Ernesto Perna, contadino sulmonese.
“Ad oggi è chiaro che questo progetto è inutile e dannoso. Mi pento ogni giorno di aver venduto: se potessi tornare indietro, non lo rifarei neanche se mi facesse diventare ricco”, osserva amaro Antonio.
Ernesto, invece, rifiutò le offerte e non ha mai smesso di coltivare e allevare nella sua proprietà. “I miei terreni sono marginali, interessano solo per il passaggio dei mezzi, quindi non persero troppo tempo a convincermi”, dice. “Chissà, forse li useranno ugualmente”.
La Rete Adriatica, una condotta con un diametro di 120 centimetri interrata a 5 metri di profondità, doveva inizialmente essere installata lungo la costa adriatica (da qui il nome). Poi la Snam Rete Gas, la società nazionale di gestione del gas, decise di spostare il tracciato lungo l’Appennino “per cause ambientali, geologiche e urbanistiche”. Ma i ragazzi dell’associazione AltreMenti Valle Peligna riconducono la scelta a motivazioni economiche e sociali.
“Lo spopolamento delle aree interne riduce le possibilità di resistenze popolari. Inoltre, i terreni costano sicuramente meno rispetto a quelli sulla costa”, dice Alessia Moriconi, del collettivo giovanile di attivismo politico e sociale.
“A vedere la mappa vengono i brividi”, commenta il geologo Francesco Aucone. Stando al progetto, il serpente di metano si snoda lungo zone altamente sismiche come la Valle Peligna, i paesi dell’hinterland aquilano, quelli dell’Umbria, delle Marche e dell’Emilia, toccando paradossalmente tutti gli epicentri dei più forti terremoti che hanno interessato l’Italia dal 1997 a oggi.
“Uno dei punti più critici è proprio Sulmona”, sottolinea Aucone. La cittadina si colloca in una posizione tanto strategica quanto pericolosa. I terreni comprati ai 17 proprietari terrieri, secondo i piani, dovrebbero ospitare non solo i tubi del gasdotto, ma anche una centrale di compressione e spinta del gas.
Quest’ultima, sebbene presentata come un progetto separato, sarebbe funzionale al gasdotto, perché necessaria per far continuare il viaggio del gas proveniente da Massafra, in provincia di Taranto, verso i siti di stoccaggio di Minerbio, nel bolognese.
Sulmona è classificata al livello 1, il più alto nella scala sismica. Secondo il geologo, il progetto del gasdotto sottovaluta di gran lunga il rischio sismico di questo territorio.
Inoltre, la centrale sorgerebbe a pochissima distanza da una faglia che ha un potenziale di magnitudo tra 6 e 7 gradi della scala Richter: la Faglia del Morrone, definita dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) una delle più pericolose d’Italia.
Siamo alle pendici del Morrone, a ridosso del Parco Nazionale della Majella. I terreni di Case Pente acquistati dalla Snam, si estendono a perdita d’occhio. “Un totale di circa 16 campi da calcio”, specifica Giovanna Margadonna del Comitato per l’Ambiente di Sulmona.
“Questa zona tettonica è sempre in movimento e, per quanto non si possano prevedere terremoti, gli studi e la storia ci dicono che il rischio è reale. Una centrale nella zona? Una bomba ad orologeria”, osserva Aucone.
Secondo il geologo, gli studi prodotti dalla Snam in relazione al progetto sono insufficienti, se si pensa alle caratteristiche morfologiche non prese in considerazione: in particolare, sarebbe stato trascurato completamente il tema della fagliazione, fenomeno per il quale, quando si verifica un terremoto, una faglia tende a deformare in modo permanente la superficie terrestre.
L’ultimo esempio è avvenuto con i terremoti del 2016, che hanno pesantemente colpito il centro Italia ed in particolare i comuni di Norcia, Amatrice, Ussita, Visso e che hanno visto il settore ovest dei Monti Sibillini sprofondare di 70-80 centimetri lungo la faglia del Vettore-Bove.
Di faglie “capaci” – cosi sono chiamate quelle che possono causare tali deformazioni – nel solo tratto Sulmona- Foligno (uno dei cinque tronconi in cui è stato spezzettato sulla carta la Rete Adriatica) ne sono state riscontrate 14.
“Ora, immaginate un tubo di gas che attraversa una faglia in modo trasversale, quando la faglie si spostano con una forza pari a migliaia di tonnellate,” avverte Aucone.
A Paganica, frazione de L’Aquila ai piedi del Gran Sasso d’Italia, il gasdotto passerebbe a circa 300 metri dal centro abitato e ad altrettanta distanza da una faglia.
Tutto l’entroterra abruzzese ha subito un grave colpo a seguito del terremoto del 2009 da allora si sta cercando di ricostruire non solo la sua economia ma anche la comunità territoriale. “Sono zone che hanno il potenziale, e la volontà, di basare la propria ripresa economica sul turismo e sull’agricoltura”, spiega Mattia Fonzi, del Comitato 3e32 de l’Aquila.
Il centro storico di Paganica è ancora un ammasso di macerie, la popolazione disseminata in varie zone. “Dobbiamo ripartire dalle comunità, attirare nuovi abitanti e un progetto così pericoloso ed impattante non fa certo venir voglia di tornare”, conclude il giovane attivista.
Al momento i terreni acquistati nel territorio di Paganica sono ancora nelle mani dei cittadini perché di proprietà collettiva. Infatti, grazie ad una legislazione che tutela terreni e altri beni comuni, l’ultima parola è della comunità, espressa attraverso gli Usi Civici, enti gestori dei patrimoni delle comunità di abitanti nelle singole realtà territoriali.
Snam riassicura: i tubi e le centrali presenti sul territorio italiano negli ultimi trent’anni non hanno subito danni a seguito di terremoti. Ma, secondo il geologo Aucone, è “un’affermazione di nessuna valenza scientifica”. “Il tempo considerato è statisticamente insignificante rispetto ai tempi di ritorno dei terremoti e la stessa legislazione italiana impone di considerare minimo circa 500 anni”, fa notare l’esperto.
Secondo il geologo, gli studi prodotti dalla compagnia non sono sufficienti per affermare che i gasdotti resisteranno a scosse di maggiore intensità e di diversa natura da quelli a cui sono stati sottoposti fino ad ora.
Inoltre, conclude Aucone, “non è vero che i gasdotti non hanno mai ricevuto danni”: a Paganica nel terremoto del 6 aprile 2009, le sollecitazioni sulla faglia provocarono la rottura di una parete dell’acquedotto e pochi giorni dopo ci fu la rottura di una tubatura del gas, grande un sesto di quello prevedrebbe la Rete Adriatica, che generò un cratere di venti metri.
Snam ancora una volta riassicura: “In sede progettuale sono stati naturalmente presi in considerazione gli effetti diretti di un sisma potenziale sulle tubazioni interrate, sottoponendo il metanodotto in progetto a verifica strutturale allo scuotimento sismico (shaking)”.
E ancora una volta Aucone obietta: “I valori di shaking considerati dalla compagnia durante gli studi, sono pari a 0,4 g. Nella realtà dei fatti però, durante gli ultimi avvenimenti sismici verificati nella zona intestata dal tratto Sulmona-Foligno, si sono registrati shakings che toccavano quasi i 0,9 g”.
Queste due grandi opere, TAP e Rete Adriatica, al centro di proteste e contestazioni, avrebbero un unico, comune, obiettivo: trasformare, come tanto osannato dai promotori del progetto, l’Italia “nell’hub del gas europeo”. Ossia, in uno snodo commerciale di stoccaggio, transito e vendita del gas per i paesi europei.
Una grande ambizione, verrebbe da pensare, per un paese che si è spesso dimostrato incapace di mettere in sicurezza le infrastrutture già esistenti. Andrebbe visto in quest’ottica il sito di stoccaggio di Fiume Treste, tra Vasto, in provincia di Chieti, e Larino, in provincia di Campobasso: il secondo più grande in Italia dopo quello di Minerbio.
Solo grazie al Coordinamento No Hub del Gas si è scoperto che manca il piano di sicurezza per la popolazione. Inoltre, sono stati rilevati livelli di inquinamento da idrocarburi e arsenico pari a 4mila microgrammi per litro nella falda adiacente all’impianto, contro i 10 microgrammi permessi dalla legge.
Il centro Italia non è conosciuto solo per la sua sismicità: l’Abruzzo in particolare, è definita la “regione verde d’Europa”. Ebbene, 167 chilometri di gasdotto passerebbero tra i parchi nazionali della Majella e del Gran Sasso, il regionale Sirente-Velino, svariate riserve naturali e 21 aree protette.
“L’impatto ambientale rischia di essere irreversibile su zone che vivono di turismo, agricoltura e allevamento. Inoltre, consideriamo che i paesi interessati sono ancora alle prese con una ricostruzione, economica e sociale post-sisma”, avverte Augusto De Sanctis, del Coordinamento No Hub del Gas.
Se il verificarsi di un terremoto è solo una probabilità, seppur non trascurabile, i danni causati dalle emissioni dalla centrale e lungo il gasdotto sono cosa certa. Sull’impatto del gasdotto sulla salute della popolazione Maurizio Cacchioni, dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, avverte: “Caratteristica di Sulmona, non presa in considerazione, è il fenomeno dell’inversione termica”.
A causa della conformazione concava della valle, l’aria tende a stagnare nello strato atmosferico sovrastante e con esso quelle particelle più leggere che verranno emesse dalla centrale. Come verificato da TPI, nella valutazione di impatto ambientale (VIA) presentata dalla compagnia nel 2011 e mai più aggiornata, manca proprio lo studio del particolato secondario, escluso perché non prodotto direttamente dalla centrale.
“Vero”, conferma Cacchioni. “Ma questo andrà a formarsi quando i fumi della centrale, ricchi di ossidi di azoto, di cui è prevista una produzione di circa 100 tonnellate annue, reagiscono con l’aria e i componenti inquinanti presenti, siano questi originati dall’agricoltura, dal traffico o da altre fonti”.
Tale inquinante è altamente dannoso per la salute perché aumenta i rischi di malattie respiratorie e cardio-respiratorie e di tumori. Secondo quanto stimato dall’ARPA Emilia Romagna, una tonnellata di ossidi di azoto dà luogo alla formazione di 880 chili di particolato secondario (PM 10): la centrale di Sulmona, per ogni anno di attività, ne produrrà circa 95 tonnellate.
Sebbene i dati sull’inquinamento del metano risultino più sostenibili se comparati con quelli del carbone, recenti ricerche scientifiche sul gas naturale ne hanno accertato la dannosità e avvertono di non investire ulteriormente su queste fonti energetiche non rinnovabili.
L’International Society of Doctors for Environment (ISDE) sottolinea che le quantità di emissioni fuggitive del metano (perdite che avvengono inevitabilmente durante le fasi di estrazione, trasporto e stoccaggio) fanno sì che “il metano ha un effetto clima-alterante circa 84 volte più potente del carbone nel breve termine, circa 30 volte nel lungo termine”.
Inoltre, il metano produce solo il 50 per cento di emissioni di anidride carbonica in meno rispetto a quelle prodotte dal carbone. “Questo progetto allontana ulteriormente l’Italia dall’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80 per cento entro il 2050 e arrivare all’azzeramento entro fine secolo”, avverte il dottor Cacchioni.
L’ISDE sostiene poi che sostituire il carbone con il metano non è un ponte verso un futuro meno inquinato ma “una strada più lenta che conduce verso pericolosi ritardi nel raggiungimento degli obiettivi previsti e verso probabili e irreversibili conseguenze”.
Inoltre, dovremmo considerare i costi di simili infrastrutture: costi che verrebbero ammortizzati solo con decenni di attività. La Rete Adriatica prevede un investimento di 1 miliardo e 200 milioni (oltre 2,5 milioni di euro a chilometro) e altri 200 milioni per l’impianto di compressione.
“L’Italia sarà legata al metano per altri quaranta, cinquant’anni, procrastinando pericolosamente investimenti su fonti rinnovabili e compromettendo lo sviluppo del Paese”, fa notare ancora Augusto De Sanctis, del Coordinamento No Hub del Gas.
“Quando queste nuove ricerche scientifiche si tradurranno in legislazioni, tali emissioni andranno a pesare sul contributo dell’Italia alle emissioni clima-alternanti, che con molta probabilità, ci faranno responsabili come Paese”.
L’utilità dell’opera è ulteriormente messa in discussione dai dati sui consumi nazionali: Eurostat, che registra un raddoppio delle importazioni negli ultimi venticinque anni, mostra una riduzione dei consumi del gas pari al 20 per cento nell’ultimo decennio.
E se, in un futuro non auspicabile, ci fosse la necessità di più gas, l’Italia sembra abbia già le infrastrutture necessarie. Come denuncia il Gruppo d’Intervento Giuridico, associazione ecologista a difesa dei diritti ambientali, mentre i metanodotti e rigassificatori esistenti hanno una capacità di 107 miliardi di metri cubi annui, i consumi di gas nel nostro Paese non hanno mai superato gli 85 miliardi di metri cubi l’anno.
“La beffa della realizzazione di tutti questi nuovi gasdotti e stoccaggi dannosi e inutili è che il loro costo ricade sulla bolletta degli italiani”, fa notare poi il Comitato No Hub del Gas.
“È cosa certa che i costi aumentano all’aumentare del percorso compiuto dal gas”, afferma De Sanctis. “Quindi paradossalmente, non solo gli italiani verranno danneggiati da tale progetto, ma pagheranno anche per un servizio che non utilizzeranno”.
La replica della Snam
Con riferimento all’articolo dal titolo “Non solo Puglia, la TAP anche in Abruzzo: ‘Terra ad alto rischio sismico, a vedere la mappa vengono i brividi’”, Snam precisa che il progetto cosiddetto “Rete Adriatica” non è il naturale proseguimento del TAP. Si tratta della realizzazione di cinque metanodotti distinti – due dei quali già in attività – funzionalmente autonomi e indipendenti, che consentiranno di attivare un corridoio alternativo a quello in funzione sul versante tirrenico, rendendo ancora più sicuro e affidabile il sistema italiano di trasporto del gas.
Si tratta di iniziative strategiche per il nostro Paese, in un contesto di declino della produzione nazionale (già oggi inferiore al 10% del fabbisogno) e di aumento dei consumi di gas naturale (+6% circa nel 2017 rispetto all’anno precedente). Snam opera in Italia da oltre 75 anni e realizza metanodotti interrati e impianti seguendo le più rigorose norme internazionali, anche per quanto riguarda la sismicità. In Italia oggi sono in esercizio 34 mila chilometri di metanodotti (1.000 dei quali in Abruzzo) e 20 impianti tra stoccaggi di gas e stazioni di compressione che non hanno subito alcun danno in occasione dei principali eventi sismici degli ultimi quarant’anni, dal Friuli all’Irpinia, dall’Abruzzo all’Emilia, senza nemmeno registrare interruzioni delle forniture.
Al termine dei lavori, Snam effettua sempre accurate attività di ripristino che riportano i luoghi interessati alle originarie condizioni paesaggistiche e naturalistiche. L’impianto di compressione di Sulmona, come le altre infrastrutture analoghe attive in Italia, non emetterà polveri sottili. Sarà, inoltre, dotato di turbine a basse emissioni.
Infine, il rafforzamento delle infrastrutture di trasporto italiane, inclusa quella lungo la direttrice adriatica, porterebbe benefici alle famiglie e alle imprese italiane, perché un sistema efficiente e in grado di attrarre più gas da diversi fornitori è la condizione necessaria per ridurre il costo dell’energia, e di conseguenza pagare bollette più basse. Snam non vende gas, ma è un puro operatore infrastrutturale regolato, che è attivo nel trasporto, nello stoccaggio e nella rigassificazione. Per maggiori informazioni sulle iniziative di Snam in Abruzzo è possibile consultare il sito web dedicato www.snam.it/snamperabruzzo.
L’articolo fa riferimento in maniera impropria a Trans Adriatic Pipeline che, al contrario di quanto riportato, non interesserà l’Abruzzo. Il gasdotto TAP, in Italia, avrà una lunghezza di 8 chilometri tra il punto di approdo a San Foca e il terminal di ricezione in agro di Melendugno, in Puglia, dove si allaccerà alla rete nazionale di trasporto. Per la realizzazione dell’infrastruttura, TAP opera nel rispetto dei più elevati standard e delle migliori prassi del settore.
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