Camminare per strada e aver paura non tanto di essere adescata dal malintenzionato di turno, ma di essere fotografata di nascosto, per poi finire sul rullino foto dello smartphone di qualcuno che dopo poco pubblicherà la foto del tuo sedere su un gruppo Facebook, pieno di malati che quella foto la guardano, ci sbavano, la commentano. Ecco cos’è lo stupro virtuale. Negli ultimi giorni se ne è parlato tanto.
E come se violenze sessuali, psicologiche, uccisioni, stalking, aggressioni con acido o simili, non fossero già abbastanza, si aggiunge un nuovo tassello al mosaico di chi tratta le donne come esseri inferiori. E si raggiungono frontiere che fino al giorno prima sembravano impensabili.
Gruppi che incitano allo stupro, che calpestano la dignità delle donne, che fanno venire i brividi solo all’idea che la foto di una fidanzata, di una sorella, di un’amica possa essere data in pasto a un manipolo di allupati e malati commentatori social.
Gruppi che umiliano ignare ragazze, vomitando commenti osceni su normalissime foto di vita quotidiana, colpevoli solo di essere state elette a oggetto del “desiderio” di maschi-leoni da tastiera. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di foto normali, scattate mentre si cammina per strada, o rubate dal profilo Facebook.
È vero, probabilmente gli uomini in questione dal vivo non sarebbero in grado di torcere un solo capello alle loro fidanzate, men che meno a sconosciute. Ma quello che fa più rabbia è proprio questo, il vedere totalmente calpestato il limite della decenza, il vedere che ci sono persone che dietro uno schermo si sentono autorizzate a stuprare una donna, come se non fosse vera violenza.
Che esistessero gruppi del genere non si faceva fatica a immaginarlo, ma i riflettori puntati di questi giorni hanno contribuito a svelarne tutto il marcio, a guardare da vicino di cosa sono capaci una centinaio di uomini che pensano di essere tra compari e di non essere visti all’esterno.
La denuncia è arrivata da Arianna Drago, con un post pubblicato lo scorso 12 gennaio e che è stato condiviso migliaia di volte. E la questione è stata portata alla ribalta anche grazie alla condivisione di due potenti influencer del web: Enrico Mentana e Selvaggia Lucarelli.
Si tratta di una moda iniziata negli ultimi anni all’estero, che non ha tardato a diffondersi a macchia d’olio anche in Italia, con gruppi chiusi che contano migliaia di persone. Quello che succede all’interno di questi gruppi è stato appositamente catturato con screen shot da persone che con profili fake si sono addentrate nei vari circhi dell’orrore, nei vari “canili”, per usare uno dei nomi più gettonati.
Negli ultimi giorni sono tanti quei gruppi all’interno dei quali si è dato l’allarme, intimando agli iscritti di uscire, per paura di incorrere nella polizia postale, adesso che sul fenomeno si sta puntando un riflettore, che disturba l’impunità dei gradassi commentatori.
“Mentre noi discutiamo in modo compassato su anonimato e rischi di censure sui social ci sono interi gruppi che fanno strame di regole e civiltà, rispetto e dignità, e regrediscono a uno stadio davvero pre-umano. Branchi di allupati qui su Facebook mettono in pratica quella che credevo fosse solo una similitudine iperbolica, con il muro del gabinetto maschile degli autogrill. Carpiscono dalle pagine aperte del social innocentissime foto di ragazze e le riproducono come emblemi di prede sessuali, con tutto ciò che di ostentatamente morboso si può immaginare come ‘commento'”, scrive Enrico Mentana su Facebook, aggiungendo che denunciare questi gruppi è perfettamente inutile dal momento che Facebook finora non ha mosso un dito per bannarli o chiuderli.
Anche rivolgersi alla polizia postale sembra essere frustrante, con inviti a rassegnarsi e a lasciar perdere la crociata per difendere la propria dignità. E anche se vengono chiusi, rinascono più in fretta e più osceni di prima.
Il canile 3.0, Cagne in calore, Giovani fighette e porci bavosi sono solo alcuni dei nomi di questi gruppi, abitati da maschilisti viscidi e fuori controllo.
Alcuni dei gruppi Facebook in questione. Credit: Il maschio beta (l’articolo prosegue dopo la foto)
Quello che stupisce di più del fenomeno forse è la tracotanza con cui gli utenti Facebook coinvolti, anche pubblicamente, si vantano delle foto pubblicate, delle oscenità scritte, delle violenze immaginate, dei commenti irripetibili. E quella sorta di indulgenza, o quella velata vena di sorriso, che in molti casi l’argomento sembra scatenare tra il popolo di Facebook.
Si tratta di un fenomeno un po’ diverso da quello della cosiddetta revenge porn, del pubblicare foto intime per vendetta da ex partner. Molti uomini che sono in possesso di foto delle ex fidanzate nude o video di momenti intimi, e non esitano a renderle pubbliche per vendetta. È quello che è successo ad esempio Tiziana Cantone, la ragazza che arrivò a suicidarsi dopo che un video che la ritraeva fece il giro della rete, condiviso e inviato migliaia di volte.
In casi come quelli del cosiddetto stupro virtuale si tratta invece di foto normali, sopra le quali si scatenano commenti osceni e gratuiti per il solo gusto di farlo, per umiliare le persone fotografate.
Una delle immagini catturate in un gruppo Facebook chiuso. Credit: Il maschio beta (l’articolo prosegue dopo la foto)
Il codice della privacy, all’articolo 167, si occupa del trattamento illecito di dati, dicendo che “chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi”.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera a Facebook di una ragazza, che preferisce rimanere anonima, che ha segnalato molti dei gruppi in questione e che si definisce indignata sul proliferare di pagine del genere:
“Cari Facebook e chiunque stia leggendo,
Sono una studentessa italiana a scrivo per esprimere disappunto e senso di impotenza in relazione ad alcuni eventi recenti che vi hanno coinvolti.
Come saprete, Facebook è stato recentemente invaso da gruppi ‘privati’ nei quali chiunque può pubblicare foto di donne – e spesso ragazze – senza il loro permesso. Si tratta frequentemente di fotografie che le ritraggono nude o addormentate, talvolta mentre camminano per strada, talvolta le foto sono prese dai loro profili social privati e a volte si tratta di casi di revenge porn. Un fattore è comune a tutti questi casi: le donne e ragazze raffigurate sono vittime di stupro virtuale. Nella gran parte dei casi non sanno nemmeno che sono state scattate loro queste foto ma ci sono uomini che si masturbano guardandole, le insultano, le chiamano ‘puttane’ e le umiliano. Nella maggior parte dei casi, gli amministratori di queste pagine dichiarano apertamente che il loro scopo è di umiliare le donne.
Ho segnalato molte di queste pagine Facebook – ce ne sono a decine soltanto nel mio paese, l’Italia – ma, fatta eccezione per due casi, ho ricevuto sempre la stessa risposta: “La pagina non viola i nostri standard della comunità”.
Ogni volta che leggo queste parole mi sento arrabbiata, umiliata e frustrata. Com’è possibile che una pagina ingiuriosa, il cui obiettivo dichiarato è umiliare delle persone pubblicando foto senza la loro autorizzazione (e QUESTO è un reato), non violino gli standard della vostra comunità? Insultare un’intera categoria con termini quali “troia”, “puttana”, “cagna” come sinonimi di “donna” è incredibilmente degradante e dovrebbe rappresentare un problema per voi.
In un primo momento ho pensato di rimuovere il mio profilo Facebook e di invitare quanti la pensano come me a fare lo stesso, provando a boicottare il network (anche se so che è impossibile, ma almeno avrebbe potuto essere un campanello d’allarme). Ma, sfortunatamente, Facebook è il mezzo più immediato per condividere le proprie opinioni, il che significa che dovrebbe essere un valido strumento per combattere il sessismo.
Quindi voglio dirvi: mi sento insultata, e non sono l’unica. Penso che sia un affronto alla mia dignità che qualcuno che nemmeno conosco possa fare ciò che vuole delle mie foto, possa insultarmi, definirmi una puttana e condividere i suoi sogni perversi di stuprarmi sul vostro social network senza subire alcuna conseguenza. E soprattutto, trovo un insulto che tutto ciò non violi gli standard della vostra comunità.
In quanto spazio virtuale, Facebook è anche spazio pubblico e dovrebbe essere sicuro per tutti. Oggi è chiaro che Facebook non è un luogo sicuro per le donne. Come cittadina di un paese in cui, nel 2016, 116 persone sono state vittime di femminicidi e lo stupro è illegale ma spesso giustificato mentre la vittima è spesso incolpata, penso che i vostri standard siano inaccettabili. Essi affermano che il mio seno, i miei capezzoli e il mio sangue mestruale sono offensivi se io decido di pubblicarli, ma qualcun altro può utilizzare le mie foto non autorizzate per segarsi, purché lo faccia in un gruppo privato.
Caro Facebook, se lo stupro virtuale non viola i tuoi standard comunitari, allora i tuoi standard comunitari violano le donne. Violano metà della popolazione mondiale, violano la dignità umana.
Cordiali saluti,
Una donna indignata
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