A poche ore dalla svolta nell’inchiesta per il depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, con il gip del Tribunale di Caltanissetta che ha archiviato le accuse di concorso in calunnia senza l’aggravante mafiosa per quattro poliziotti, Claudio Fava, presidente della Commissione Antimafia della Regione Sicilia, ha lanciato un appello al Governo durante un dibattito sull’argomento tenutosi in Canicattì, in provincia di Agrigento. Presente anche il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio.
L’iniziativa, organizzata dall’Associazione ‘Le parole e le cose’ e dal Comune di Canicattì, ha presentato nella cornice del Centro culturale San Domenico la Relazione redatta dalla Commissione Antimafia all’Assemblea Regionale Siciliana in merito al cosiddetto “depistaggio Borsellino”.
“Nel luglio 2018, quando ci si avvicinava all’anniversario dalla strage di via D’Amelio, in Commissione ci siamo posti il problema di come avremmo potuto trascorrere quei giorni al di là di celebrazioni e liturgie. Pensammo che una cosa da fare fosse ascoltare uno dei figli di Paolo Borsellino in un luogo istituzionale, in cui depositare una serie di domande che da 25 anni aspettavano di essere condotte a destinazione”, ha esordito Fava.
“Il lavoro della Commissione, con questa relazione, è di estrema importanza. Non ricordo un’altra Commissione Antimafia regionale che abbia preso una tale iniziativa. Mentre voglio denunciare come a livello nazionale non si abbia mai avuto il coraggio di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi del 1992 e del 1993. Se non riusciamo a riallacciare i fili con la nostra storia, se non riusciamo a capire cosa sia successo in quegli anni, saremo sempre una democrazia incompiuta”, è il commento del procuratore Patronaggio.
“Quel 19 luglio andai anch’io in via D’Amelio: ero in forza alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo”, ha ricordato il pm. “In questa relazione si parla molto dell’agenda rossa scomparsa e si dice che è il primo episodio del più grande depistaggio della Storia repubblicana. Mi permetto di dissentire poiché l’intervento di una mano occulta è una costante di tutti i delitti eccellenti. Pensiamo, per esempio, a quando uccisero il generale Dalla Chiesa. Qualcuno fece piazza pulita della cassaforte del prefetto di Palermo”, ha dichiarato il magistrato.
“Occorre non lasciare storie a metà. Io penso che in questo momento non serva sbandierare lo slogan ‘basta coi segreti di Stato’. Basterebbe che il presidente del Consiglio chiedesse al direttore dell’Aisi (l’odierna Agenzia di intelligence italiana, nda), di ricostruire tutti gli atti e i fatti documentali conservati nell’archivio dell’Aisi, e che riguardano l’epoca del Sisde, in cui c’è traccia concreta di quello che accadde nelle settimane e nei mesi successivi la strage di via D’Amelio”, è la sfida lanciata da Claudio Fava al premier.
“In che modo il Sisde fu coinvolto? Quale circuito di consapevolezza e responsabilità ci sia dietro tutto questo. Lo faccia il presidente Conte. Alzi il telefono e pretenda dal direttore dell’Aisi che su questo ci sia finalmente lo svelamento di una verità storica”, conclude il presidente della Commissione Antimafia siciliana invitando il Governo a un deciso intervento, al fine di contribuire nell’opera di chiarificazione e giustizia attorno alle ombre sulla strage di via D’Amelio, dove il 19 luglio 1992 persero la vita in un attentato terroristico-mafioso il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
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