Se c’è una categoria in Italia ancora più disprezzata di omosessuali, immigrati e donne, questa è rappresentata dai rom. Ladri, accattoni, sporchi, miserabili, mendicanti sono solo alcuni degli epiteti rivolti ai rom. L’82 per cento degli italiani, secondo un rapporto del Pew Research Center, esprime un’opinione negativa nei loro confronti, valore più alto tra i paesi analizzati dal rapporto.
I rom e sinti, sebbene spesso di nazionalità italiana da molte generazioni, sono percepiti come i più stranieri e estranei di tutti. Non vorrebbe averli come vicini di casa il 68,4 per cento degli intervistati e solo il 22,6 per cento li accetterebbe se si comportassero in modo ritenuto adeguato.
Ma chi sono davvero i rom? E cosa si nasconde dietro una parola così piccola ma estremamente variegata al suo interno? Ecco quattro degli stereotipi più diffusi, analizzati uno per uno.
“Rom, sinti, zingari e gitani sono la stessa cosa”
I rom sono uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romaní (anche detta genericamente degli “zingari” o dei “gitani”) originaria dell’India del nord.
La caratteristica comune è rappresentata da un insieme di dialetti simili, che costituiscono appunto il romaní. Tra i principali gruppi in Italia vi sono sia i rom che i sinti.
Spesso, per indicare i popoli romaní, sono usati anche altri nomi imprecisi come zingari e gitani. Rom è un sottoinsieme del popolo romaní, ma è spesso ed erroneamente utilizzato per indicare l’intero insieme dei popoli romaní.
Al loro arrivo in Europa, le diverse comunità rom s’inserirono nelle società locali specializzandosi in alcuni mestieri, iniziando a essere conosciute con nomi che ne indicavano la professione. I rom sono infatti divisi in sottogruppi e i principali sono khorakhanè, rudari, lovara, gagikane, rom abruzzesi e altri, che derivano dal mestiere di quella comunità.
I rom vanno distinti da altri gruppi etnici diversi come i kalé (definiti gitanos dagli spagnoli), i sinti, boyash, e gli ashkali.
I sinti sono una etnia di origine nomade e l’origine del loro nome sta nella parola indo-persiana Sindh. La storia recente dei sinti è simile a quella della popolazione rom: furono perseguitati in tutti i paesi europei subendo di volta in volta pratiche di inclusione (schiavizzazione nei paesi dell’Est Europa) e in particolare in Romania (schiavitù abolita solo dopo il 1850), esclusione (cacciata dai territori) e discriminazione.
“I rom vivono nelle baracche e non vogliono avere una casa”
È difficile – se non impossibile – stabilire con precisione quanti siano i rom in Italia. Secondo l’Associazione 21 luglio il loro numero sarebbe compreso in una forbice tra i 120mila e i 180mila individui. Circa la metà di loro, almeno 70mila persone, ha la cittadinanza italiana, mentre i restanti 50mila sono cittadini provenienti soprattutto dalla ex Jugoslavia e dalla Romania.
Spesso rom è sinonimo di baraccopoli e di emergenza abitativa – e quindi di sgomberi e precarietà. Sempre secondo i dati della stessa associazione, sono solo 28mila le persone di etnia rom che vivono in accampamenti formali o informali, in 88 comuni italiani, per un totale di 149 baraccopoli. Il resto, ossia la maggioranza, vive in case e abitazioni regolari.
Per quanto riguarda il nomadismo, si tratta di un termine ottocentesco, usato in accezione dispregiativa, non tanto per indicare lo stile di vita dei rom, quanto piuttosto con intento discriminatorio verso coloro che ritenevano fossero uomini inferiori, perché pigri, vagabondi, caratterialmente instabili, in contrapposizione a quello dell’amante della patria, nazionalista e seguace della morale. Solo il 3 per cento, secondo i dati di Associazione 21 luglio, sono nomadi.
Secondo un rapporto di Amnesty del 2013 le politiche abitative italiane discriminano i rom. “Erroneamente etichettandoli come nomadi, per anni le autorità municipali di Roma hanno alloggiato i rom senza casa in container e roulotte sovraffollati all’interno di campi mono-etnici, lontani da servizi essenziali e mezzi di trasporto”, si legge nel rapporto.
“I rom sono dediti alla delinquenza e alle attività illecite”
I rom sono disprezzati e tenuti alla larga dalla società perché si pensa a loro come dediti ad attività illecite, accattonaggio, borseggi, furti, fino a livelli di malavita più organizzati. Questa percezione non è però supportata da nessun dato.
La tendenza a delinquere non è certo un fattore genetico, dipende bensì dall’ambiente e dal sostrato culturale in cui si vive. E il vivere ai margini della società, in accampamenti e baraccopoli ben distinti dal resto delle abitazioni di una città, non fa che accrescere comportamenti criminali, in mancanza di alternative valide.
Lo Stato italiano prima, e le amministrazioni locali dopo, non sono ancora riusciti a trovare una soluzione definitiva e alternativa al problema delle baraccopoli-ghetto.
In un monitoraggio dell’associazione Naga, realizzato tra il 2012 e il 2013, si nota che sulla stampa italiana i rom sono sistematicamente associati a fatti o eventi dannosi. “Comportamenti che possono essere considerati negativi, ma che non sono reati – tipo lavarsi a una fontanellta – sono associati a toni allarmistici come fossero eventi gravissimi”, si legge nel rapporto.
“I rom sono troppi”
È una frase che si sente spesso dire quando si parla di questo tema. Ma cosa dicono i numeri?
In Italia solo lo 0,25 per cento della popolazione è di etnia rom, ossia lo 0,15 per cento dell’intera popolazione rom europea. La maggior parte di quest’ultima vive nei paesi balcanici.
La città italiana con il maggior numero di campi rom è Roma, mentre Napoli è quella con il numero più alto di insediamenti informali. A Roma sono presenti 7 insediamenti istituzionali con 3.772 rom e sinti in emergenza abitativa e altri 11 accampamenti informali, abitati da 2.200 e le 2.500 persone. Sono circa duemila i minori rom presenti nella capitale.
Perché questi stereotipi sono così diffusi?
La scarsa conoscenza delle comunità romaní è direttamente proporzionale all’ostilità nei loro confronti.
È in questo clima di retorica dell’odio – promossa in particolare da esponenti di alcune fazioni politiche – che ha potuto attecchire l’atteggiamento discriminatorio e denigratorio nei loro confronti, alimentato da pregiudizi e stereotipi.
“Gli effetti dell’antiziganismo sulle comunità bersaglio sono evidenti e profondamente dannosi, rendendolo uno dei fattori principalmente responsabili nell’alimentare il circolo di povertà ed esclusione che spesso ostacola le famiglie rom svantaggiate”, spiega l’Associazione 21 luglio, specificando però che negli ultimi quattro anni si è assistito a un apprezzabile cambio di tendenza.
“In generale, l’antiziganismo si traduce in barriere all’accesso a diritti fondamentali, come l’alloggio e l’impiego, prepara il terreno per ulteriori derive violente e crimini d’odio, e ostacola l’attuazione di politiche sociali volte all’inclusione”.